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In sala

Il Woody Allen triste di «Un colpo di fortuna»

La copia sbiadita di un film già visto e poco da salvare: non c'è vita in una pellicola che mette in fila luoghi comuni, stereotipi e banalità
I protagonisti Niels Schneider e Lou de Laâge:  «Coup de Chance» è ambientato a Parigi
I protagonisti Niels Schneider e Lou de Laâge: «Coup de Chance» è ambientato a Parigi
I protagonisti Niels Schneider e Lou de Laâge:  «Coup de Chance» è ambientato a Parigi
I protagonisti Niels Schneider e Lou de Laâge: «Coup de Chance» è ambientato a Parigi

La sequenza la trovate in «Amore e guerra», il più comico e improbabile omaggio al librone di Tolstoj. Messo su pellicola nel 1975 dal primo Woody Allen, ai tempi in cui sembrava che di secondo lavoro dovesse fare il cugino parlante di Buster Keaton e Harold Lloyd, una specie di marionetta slapstick fuori tempo massimo («Prendi i soldi e scappa», «Il dormiglione» e quel filone lì).

Poi è andata com’è andata, e il nostro ha preferito dedicarsi anima e corpo al mestiere di profeta della New York intelligente. Buon per lui. Ma soprattutto buon per noi che ci abbiamo guadagnato «Io e Annie», «Manhattan», «Broadway Danny Rose» e qualche altro film da aggiungere alla lista delle cose per le quali vale la pena vivere (cit.).
 

Questione di punti di vista

«Amore e guerra», dicevamo. L’era napoleonica (va di moda il Bonaparte ultimamente) e la campagna di Russia. Appollaiati su una collina ci sono generali e ufficiali che osservano l’infuriare della battaglia, mentre i soldati, tra un colpo di cannone e una baionettata, all’improvviso si trasformano in pecore.

Ecco, immagino che la vita delle persone vere, di noi normali, vista dal più costoso appartamento dell’Upper West Side, il quartiere del Dakota Building che accarezza il fianco Ovest di Central Park, sia un po’ così: animaletti buffi che si affannano a fare non si capisce bene cosa, tutti presi dall’arrivare a fine giornata senza restare schiacciati dal peso dello stare al mondo.
 

C’è così poco da salvare

Un mondo che il Woody Allen di «Un colpo di fortuna» riesce a raccontare solo attraverso una serie fastidiosa di luoghi comuni e di personaggi-marionette a due dimensioni. Un mondo in cui bastano un paio di poesiole e qualche ricordo del liceo per portarsi a letto la bellissima insoddisfatta di turno; un mondo nel quale gli scrittori hanno il ciuffo scapigliato, cercano ispirazione in posti esotici e affittano soffitte parigine che sembrano uscite da un romanzo di Flaubert; un mondo abitato da mariti con le tasche piene di contanti che parlano come il J.R. di «Dallas» (se non sapete chi è J.R., chiedete a qualcuno sopra i 40 anni), da ricchi e ricchissimi che discutono di vacanze in Polinesia, di tour enogastronomici del Giappone (andiamo, chi non hai mai fatto un tour enogastronomico del Giappone?), che stappano solo Borgogna (come dargli torto?), che si lamentano della servitù e che vanno a caccia di cervi nei parchi di ville private (manco fossero nel remake di «La regola del gioco» di Jean Renoir).

Un mondo falso, a pelle

Un mondo stupido, irritante, falso a pelle. «Un colpo di fortuna» è una cosettina indisponente, che conferma tragicamente come il Woody Allen del viale del tramonto nei suoi momenti peggiori non riesca più nemmeno a vivacchiare. Non c’è niente in troppi dei film che anno dopo anno ci ostiniamo ad andare a vedere; il vuoto, l’assenza di vita, in un lavoro, quest’ultimo ambientato nella solita Parigi autunnale fotografata da Vittorio Storaro, che ripropone fiaccamente i temi già trattati in «Match Point» e in «Misterioso omicidio a Manhattan». Il nostro Godot non è tornato nemmeno stavolta.

Certo, se l’è meritata la cambiale in bianco che tutti quelli che l’hanno amato alla follia (tanti, tantissimi) hanno firmato in tempi non sospetti, quando il genio comico era l’antidoto perfetto contro il nulla del cinismo. Ma a forza di chiudere la vita fuori dalla porta, di mettere distanza tra sé e qualsiasi forma di altro, di cercare pretesti per stare lontani, il cuore dell’ispirazione, quella cosa che si nutre di umanità, si è fermato. Ci resta un Woody Allen che forse noi ci meritiamo ma lui di sicuro no; un Woody Allen che non riesce manco a fare un passettino di lato per farci vedere in controluce questo Eden ultra-borghese da Europa di fine impero. Lo aspetteremo ancora. Andremo a vedere anche il prossimo film. Ma che tristezza.

Luca Canini

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