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Schermi & visioni

Gli anni Settanta di Pam, Aldo Fabrizi e i j-drama

Foxy Brown
Jack Hill (1974)
Per l’acclamata serie «che diavolo ci fa questo film su Amazon!», prego vogliate gradire «Foxy Brown», testo sacro della blaxploitation e definitiva consacrazione al ruolo di ragazza cattiva per la divina Pam Grier, la futura musa di Quentin Tarantino (da «Foxy Brown» a «Jackie Brown» si sta un attimo). Dietro alla macchina da presa Jack Hill, che di black aveva tutto tranne il colore della pelle (è ancora tra noi, ma da tempo ormai ha lasciato il cinema per dedicarsi ad altro); stella assoluta la già citata Pam, attorno alla quale ruota una pellicola di poche pretese, buttata lì un po’ come viene, ma dall’innegabile fascino. Non solo per i costumi sgargianti della Grier, sexy come non mai, e per la colonna sonora di Willie Hutch, ma per la forza e la disinvoltura con le quali fotografa l’epoca della riscossa afroamericana, tra pistolettate, prostitute, papponi e spacciatori. Da vedere assolutamente.

Vivere in pace
Luigi Zampa (1946)
Strano destino quello di «Vivere in pace»: troppo commedia per essere davvero neorealista; troppo neorealista per essere davvero una commedia. Risultato: il film di Luigi Zampa, uno dei primi a essere girato nell’Italia liberata, è finito in un angolino buio della storia. Benedetta due volte RaiPlay quindi che l’ha ripescato dalle note a piè di pagina del Mereghetti e ve lo propone in streaming gratuito. Il consiglio è di approfittarne: per i futuri signori Passaguai, Aldo Fabrizi e Ave Ninchi, alle prese con due soldati americani da nascondere nel fienile e con le ultime rappresaglie dei nazisti in fuga; per il traboccante senso di umanità con il quale Zampa racconta l’Italia della Liberazione; per la verità dei personaggi, dei volti, delle parole; per la spiazzante commistione tra lacrime e risate da avanspettacolo. Fine under: li salvi chi può.

Turn to me Mukai-kun
Mako Watanabe (2023)
Se non vi sentite ancora pronti per il lato oscuro della serialità, i drama coreani, il consiglio è di farvi il fondo iniziando con i cugini giapponesi, un po’ meno distanti a livello di estetica e di grammatica, e un po’ più accessibili per quel che riguarda le tematiche. Un esempio? «Turn to me Mukai-kun», sbarcato da qualche giorno su Netflix. Satoru Mukai è un single di 33 anni che all’improvviso si rende conto che di anni ne sono passati già dieci dalla sua ultima vera relazione. Da qui una serie di disavventure sentimentali che lo portano a sperimentare diversi modi di vivere l’amore, il sesso e l’infatuazione. Niente di che a raccontarlo, ma il vero punto di forza di «Turn to me» sono i dialoghi, lunghe dissertazioni sui rapporti tra uomo e donna, sull’amicizia, sul senso della famiglia, sulle relazioni in generale, sul significato dell’essere adulti. Un gioiellino in dieci episodi.

Luca Canini

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