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La recensione

«Estranei», il potere dell’amore

Andrew Scott e Paul Mescal
Andrew Scott e Paul Mescal
Andrew Scott e Paul Mescal
Andrew Scott e Paul Mescal

Senza essere mai intellettuale, vista la corposa vena di carnalità che lo percorre, «Estranei» di Andrew Haig è un film positivamente «ambiguo», in cui gli strati di senso di sovrappongono, si mescolano talora, si offrono alla visione in un crescendo che prende la mente e il cuore e poi scende giù fino a quelle che i francesi chiamano le «tripes». Ma forse il pregio maggiore di questo film in grado di intrigare e di suscitare emozioni profonde e autentiche, è una morbida e morbosa fluidità che fonde materiali, suggestioni e strutture di ogni genere, tra i quali primeggia l’origine letteraria, in un impasto che è assieme realistico e surreale, concreto e fantastico, erotico e affettivo. Ci sono le lacrime, di dolore e di disperazione, e i corpi di due uomini nel film di Haig, sceneggiatore e regista, tratto dall’omonimo romanzo di Taichi Yamada. Le lacrime di un uomo che scrive sceneggiature e scrive di se stesso quanto vediamo sullo schermo, manipolando, al fine di raccontarsi meglio, o raccontarsi tout court, la scrittura romanzesca di un altro; i corpi di Adam (Andrew Scott), questo sceneggiatore solitario che vive in un nuovo palazzo in attesa di inquilini, in intimo abbraccio con un altro uomo, Harry (Paul Mescal), il secondo inquilino del grattacielo. E poi la scrittura e la messa in scena di Haig si misurano con l’angoscia, il dolore, la nostalgia, le afasie della mente che svaniscono nella droga e nella stretta amorosa dei corpi, le lacrime si asciugano nel sesso; il passato e il presente coabitano nel tempo di un racconto che smuove intelletto e coscienze fino a sconfinare nell’inconscio, mentre fa interagire i morti e i vivi fino all’ultimo respiro di cinema e di vita. F.Bon.

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