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La recensione

«Another End», più grande della vita

Gael Bernal e Renate Reinsve
Gael Bernal e Renate Reinsve
Gael Bernal e Renate Reinsve
Gael Bernal e Renate Reinsve

Ci sono personaggi «larger than life», più grandi della vita; ci sono temi, argomenti, soggetti, che ne travalicano i limiti; uno di questi è la morte, con l’annesso «regno delle ombre». Con ardimento e perizia, Piero Messina, nel suo secondo film, «Another End», si misura, calandolo in un contesto di fantascienza dal volto umano, con l’incapacità umana di accettare l’idea che una persona, tanto più se amata, possa scomparire, non esserci più. Il problema di Messina è che il tema della morte, oltre a essere più grande della vita, è anche più grande e forte della messa in scena e della cornice fantascientifica, di modo che il film si avvita sovente su se stesso e si riduce a stimolo per riflessioni e interrogativi di natura esistenziale e filosofica piuttosto che a rappresentazione in punta di cinema di emozioni, passioni e sentimenti. Il racconto si dipana a partire da uno spunto intrigante: la società Aeterna offre la possibilità di far rivivere la persona amata e scomparsa per il tempo necessario a un congedo il meno devastante possibile. Previo accordo profumatamente remunerato, il vissuto e la memoria della persona scomparsa sono innestati nel corpo di un «locatario» che si presenta dal «cliente», magari con fattezze diverse ma per il resto uguale in tutto e per tutto alla persona passata a miglior vita. Il disperato Sal, con la mediazione della premurosa sorella Ebe, impiegata presso Aeterna, potrà così passare qualche giorno ancora assieme all’amata Zoe. Messina è abile e lascia aperta la porta a colpi di scena e ribaltamenti, ma il vero colpo di scena, cioè di cinema, lo garantiscono i tre protagonisti: Renate Reinsve, Gael Garcia Bernal e Bérénice Bejo, fulcro e salvagente del film. F.Bon.

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