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Il primo applauso? Al pubblico

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Durante i ringraziamenti al termine di una recita, non è raro vedere la compagnia schierarsi per applaudire gli spettatori che la stanno applaudendo. Può sembrare un esercizio retorico, in realtà è la testimonianza di una reciproca irrinunciabilità: se non esiste teatro senza interpreti, nemmeno esiste teatro senza un pubblico. E che a quest'ultimo spetti riconoscenza anche per parecchi altri motivi, gli attori lo sanno. Intanto, ovvio, perché il pubblico consente al teatro di vivere: pagando il biglietto della serata, o l'abbonamento alla stagione, e persino quelle tasse che (in misura sempre minore, d'accordo) vanno a rimpinguare pure i bilanci degli enti di produzione e distribuzione degli spettacoli, così come le (magre, vabbè) finanze delle amministrazioni locali che promuovono rassegne nel territorio, per fortuna trovando un po' supporto da parte di sponsor privati.
Ma la gratitudine nei confronti degli spettatori va al di là del mero fatto economico, per quanto essenziale esso sia: è indirizzata alla loro encomiabile volontà di partecipazione culturale, al loro credere nel teatro quale eterna leva di crescita intellettuale e occasione d'incontro sociale, alla loro disponibilità verso ogni forma di proposta, anche la più inconsueta. Che siano allestimenti tradizionali o di ricerca, coraggiose messinscene corali o sparagnini monologhi, episodi nobilmente letterari o agre cronache d'attualità, l'appassionato infatti segue, s'incuriosisce, si fa coinvolgere. Accoglie con piacere la star - magari poi scoprendo che tanto star non è - così come il carneade debuttante; comprende perché i classici sono pur sempre i classici, e si compiace per questo d'appartenere alla razza umana che li ha creati; digerisce le sperimentazioni più scostanti, i debutti ancora acerbi, vecchie glorie sfiatate, prodotti smaccatamente commerciali; conforta le formazioni che issano la bandiera del repertorio regionale, ritrovando il gusto della prosa a "chilometro zero".
Per tutto questo merita di essere applaudito chi sta al di qua della rituale "quarta parete". E per molto altro ancora, a cominciare dalla inesausta voglia di frequentare una palestra contro la pigrizia mentale, il conformismo, il precotto. Sapendo che, in cambio, otterrà da quelle esperienze il privilegio di essere l'interlocutore d'uno scambio di idee e parole e gesti che nasce nel (e per) il mondo reale, e che quel mondo reale rappresenta all'ennesima potenza, attraverso una finzione che più vera non si può. Solo il teatro, infatti, affida a chi lo frequenta il ruolo di parte integrante d'una magia evocatrice che da secoli si manifesta intatta e ogni volta irripetibile, che può essere incandescente, struggente, divertente, tagliente, inquietante.
Ciò detto, che altro domandare al pubblico? Difficile pretendere di più da chi garantisce all'arte drammatica l'ossigeno per esistere, ieri come oggi. Eppure, qualcosa da chiedergli ci sarebbe: il coraggio di esprimere anche un dissenso, se necessario. Nei dovuti modi, ovvio, anche perché, con quel che oggi costano gli ortaggi, non è il caso di privarsene lanciandoli verso la ribalta.
Adesso, se proprio non si resiste a una pièce, si sceglie la via della fuga silenziosa, magari vergognandosene un po' ("ecco, io che me ne vado sono l'unico qua dentro a non capire niente"). Invece, talvolta, qualche fischio o qualche palese segnale di disappunto potrebbe essere utile anche a chi, sul palco, sta tentando di dire/fare qualcosa inadeguatamente o incomprensibilmente ma non se ne rende conto, specie se nessuno si prende la briga di rivelarglielo. Oppure, altra situazione: non s'intendono a sufficienza le parole? Ok, prima di pensare d'esser diventati improvvisamente sordi, una bella esortazione ("voce!") risulterebbe sacrosanta, visto che la dizione è una disciplina sempre meno impartita. E infine, di fronte a certe "provocazioni" da pseudo-avanguardia, sarebbe salutare e liberatorio rispondere a tono, ovvero altrettanto provocatoriamente, manifestando il proprio diritto a non essere presi per i fondelli. Certo, è difficile che tutto ciò accada, troppo bene educata essendo la gente che frequenta le nostre sale. Ma uno scatto d'orgoglio in platea, alla Fantozzi, svelerebbe certe boiate per quel che sono. Nonostante tutto il bene che si può (e si deve) volere al teatro.

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