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L'intervista

Sarah Micol Ammendola: «Da Altavilla agli Usa. Arredo case di lusso con il made in Italy»

Architetta e imprenditrice lavora tra Los Angeles e Miami
Sarah Micol Ammendola ha creato l’azienda di design made in Italy “Dea Italiana”
Sarah Micol Ammendola ha creato l’azienda di design made in Italy “Dea Italiana”
Sarah Micol Ammendola ha creato l’azienda di design made in Italy “Dea Italiana”
Sarah Micol Ammendola ha creato l’azienda di design made in Italy “Dea Italiana”

«Non ho mai nemmeno sognato la mia vita di oggi, è molto più di quanto avrei potuto desiderare». Sarah Micol Ammendola ne ha fatta di strada da quando, studentessa del Politecnico di Milano, ha lasciato Altavilla Vicentina per un programma di scambio in Australia, ed è stato solo l’inizio. Quattro anni fa ha creato l’azienda di design made in Italy “Dea Italiana” e oggi vive tra Miami e Buenos Aires dove, oltre a dipingere e vendere quadri, arreda le case da sogno di attori, sportivi e politici, con mobili su misura disegnati da lei e prodotti in Lombardia e nelle Marche.

A Miami ha anche conosciuto un proprietario terriero argentino che oggi la aiuta nella logistica della sua attività ed è padre dei suoi bimbi di 3 anni e mezzo e 6 mesi. «Economicamente sto molto bene. Ho il lavoro dei miei sogni, posso trascorrere un pomeriggio con i miei bambini quando lo desidero e se voglio lavorare nel weekend, lavoro. Questo per me non ha prezzo. Ed è possibile perché ho insistito nel perseguire la mia strada». Una ragazza come tante, di una famiglia semplice e la cui storia, proprio per questo, può essere di ispirazione.

Dopo la laurea in architettura lavorare in Australia è stata una scelta o una necessità?
Una scelta. Il professore con il quale avevo fatto un esame all’università mi ha proposto un lavoro come assistente; successivamente ho cercato lavoro come architetto e interior designer e sono stata assunta in un importante studio di architettura a Perth. Mi hanno dato fiducia, autonomia, ho acquisito autostima e indipendenza; a 25 anni guadagnavo fino a 75 mila dollari l’anno. Ho fatto anche altre esperienze, ma nessuna che sentissi come “la mia strada” e non volevo legarmi ad un unico studio per cinque anni per ottenere il visto. Così sono tornata in Italia. 

Qual è stato l’impatto?
Sapevo cosa mi aspettava, uno stipendio minimo e ore di lavoro infinite. Ma non volevo restare con le mani in mano e ho trovato un impiego in un’azienda di mobili su misura nel Bergamasco, la conoscenza dell’inglese è stata un valore aggiunto perché volevano ampliare l’attività a Miami. Lavoravo come una pazza per 1.200 euro al mese ma lì ho imparato tutto sulla falegnameria e sull’artigianato italiano. Dopo un anno e mezzo mi sono proposta per andare negli Usa ad avviare il business.

Sicuramente una bella sfida, a soli 28 anni.
Ho bussato alle porte di almeno una sessantina di architetti di Miami, il 95 per cento mi ha chiuso la porta in faccia, ma alcuni hanno iniziato ad offrirmi dei lavori, ovviamente dovevano testare la mia credibilità e la qualità del prodotto. Cinque anni dopo ero diventata socia della sede americana dell’azienda, ma dovevo occuparmi della parte commerciale, del design dei mobili, della logistica, e seguire i cantieri da Miami agli Hamptons, a New York. L’azienda non si decideva mai ad investire in nuovo personale e così ho lasciato.

Com’è stato partire come imprenditrice?
A quel punto avevo un nome e una clientela, ma ho dovuto cambiare fornitore e non è stato facile. Sono tornata a bussare alle porte di fabbriche e falegnami italiani, verificando la qualità, e sono partita inizialmente con un’ottima falegnameria di Vicenza. Oggi lavoro con un team di otto persone e ho all’attivo oltre cento progetti di alto lusso, in particolare a Miami, gli Hamptons e Bel Air a Los Angeles.

Che valore aggiunto offre essere una designer italiana e proporre il made in Italy?
Mi ha aperto le porte. Ora vendo anche i miei quadri. Lo stesso accento italiano è un valore aggiunto. C’è anche l’altro lato della medaglia però, da italiana ho dovuto conquistarmi la credibilità: appena arrivata a Miami temevano che me ne andassi con i soldi dell’anticipo, o che la qualità fosse bassa rispetto ai prezzi dei prodotti…

Quale pensa sia stata la caratteristica che le ha permesso di realizzarsi, e cosa si sente di dire a chi sul lavoro non si ritiene ripagato di tanti anni di studio?
Di non demordere. Non mi piace chi dice “è impossibile”. Non riesci in Italia? Te ne vai. Non bisogna avere paura di ricevere dei “no”, io non ho vergogna. Ma è una caratteristica che ho sviluppato. Se un tempo il giudizio altrui mi condizionava, a Milano prima e poi all’estero mi sono resa conto che di me non importava nulla a nessuno. A chi mai interessava se fallivo? Questo mi ha permesso di non preoccuparmi se all’inizio parlavo male la lingua e di non demordere nonostante le tante porte chiuse in faccia e l’impegno in tanti progetti che non mi sono stati assegnati. La prossima volta, mi dicevo, non fallirò.

Tornerebbe a lavorare in Italia?
Ho ottenuto anche la green card grazie al mio lavoro. L’Italia mi manca tantissimo e ci torno spesso, ma no. Mi sembrano tutti arrabbiati, forse per come va l’economia... Non credo che potrei ottenere in Italia quello che ho all’estero, nemmeno con l’esperienza che ho accumulato

Cinzia Zuccon

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