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CONFINDUSTRIA: FAVERO

«Mancano i lavoratori: ora bisogna gestire flussi dall’estero»

Alberto Favero vicepresidente di Confindustria Vicenza con delega alle Relazioni industriali
Alberto Favero vicepresidente di Confindustria Vicenza con delega alle Relazioni industriali
Alberto Favero vicepresidente di Confindustria Vicenza con delega alle Relazioni industriali
Alberto Favero vicepresidente di Confindustria Vicenza con delega alle Relazioni industriali

Mancano lavoratori per le imprese vicentine: è il momento di pensare a come farli arrivare dall’estero. Alberto Favero, vicepresidente di Confindustria Vicenza con delega alle Relazioni industriali, conferma la denuncia fatta sul nostro giornale dal segretario Raffaele Consiglio della Cisl berica.

Manca un “tavolo” in cui mettersi tutti assieme per chiedere che si organizzino nuovi flussi di lavoratori?

È già da tempo che Confindustria ha sollevato questo tema: il flusso migratorio è qualcosa su cui tutti dobbiamo fare una riflessione. La parte che riguarda la migrazione di persone è forse la più semplice a cui pensare, ma non è scontata e soprattutto va tenuto conto che ha bisogno di tutto il contesto: bisogna guardare all’offerta di lavoro, ma anche a una politica di inserimento e integrazione. Questo va concertato con tutte le parti: istituzioni, associazioni di categoria, interlocutori politici e comunque Comuni e Regione. Capisco e condivido il punto di vista del segretario Cisl, ma purtroppo è un tema che va portato avanti contestualmente da tanti attori.

Consiglio vede in calo la cultura che demonizza lo straniero, ma verrebbe da dire che non è certissimo che sia così: neppure le vicende della guerra in Ucraina hanno dato indicazioni chiare su questo.

Secondo me c’è un pensiero distonico: il “vorremmo” e “ciò che facciamo” non sempre sono in coerenza tra loro. Il dato di fatto è che la necessità di avere più risorse umane c’è, su questo siamo d’accordo tutti: a prescindere dal tipo di competenze singole, si è capito che il problema è trasversale a tutti i livelli. Poi, che qui sia venuta meno l’ “attenzione” al flusso di immigrati purtroppo non è vero nei fatti. Però attenzione: o noi portiamo risorse umane nel nostro mercato, oppure è il lavoro che va verso altri Paesi. Questo è un concetto che si fa più forte, i tempi sono maturi: fare un passo avanti, magari anche attuando un progetto pilota da sperimentare in alcune aree, è necessario e indispensabile. Non si può più rinviare.

Quindi si torna al suo messaggio: serve un impegno anche della politica. Ma esiste oggi un “tavolo” in cui voi come mondo economico, imprese e sindacati, state premendo sulle istituzioni perché si lavori a questo?

C’è qualche tentativo, ma niente di concreto. Abbiamo provato a confrontarci con la parte istituzionale, la Regione nella fattispecie, ma non abbiamo ancora trovato sponda. In realtà in linea di principio sì, ma prima di tutto si è trattato il tema dei famosi neet (i giovani non impegnati: not in education, employment or training), come se il problema sia stato letto sotto il profilo della loro indisponibilità. Per me il tema è un po’ diverso: dati alla mano, la demografia non ci viene in aiuto. E se è vero che c’è un problema legato all’impiegabilità di persone, purtroppo i numeri sono a netto sfavore. Quindi bisogna assolutamente che guardiamo oltre, alla possibilità di inserimento di figure che arrivano da altri Paesi. Non possiamo solo fare leva su coloro che, per motivi diversi, preferiscono rimandare il momento dell’inserimento nel mondo del lavoro. Il problema del lavoro nero si sa che c’è, e così per il reddito di cittadinanza, ma i numeri sono nettamente a sfavore rispetto alla domanda che in questo momento le aziende pongono.

In effetti la Regione, come assessorato al Lavoro, con i media ha sottolineato che la prima emergenza è convincere i neet e tagliare il reddito di cittadinanza. Forse si potrebbe iniziare eliminandolo per fasce di età, escludendo cioè i giovani?

Io non dicono di dimenticare il problema dei neet: esiste, e ben venga qualsiasi strumento possa essere utile a ridurre quello che è il bacino di questa classe di persone. Ma è anche vero, e su questo abbiamo potuto confrontarci anche con la parte sindacale, che il problema è che effettivamente i numeri, anche attingendo da quel bacino, non sarebbero comunque sufficienti. Senza parlare delle specificità di cui le aziende hanno bisogno, e questo rimanda al problema della scolarizzazione e del tipo di educazione che ricevono i giovani. Il tema dei neet va affrontato, mettere una soglia di età al reddito può anche aiutare, e occorre una politica seria di assegnazione del reddito: in alcuni casi sappiamo che se ne è abusato. Detto questo, il problema resta lo sbilanciamento tra richieste e offerta: i numeri sono purtroppo impari. E abbiamo chiesto di confrontarci con l’assessorato al lavoro della Regione sulle esigenze della provincia di Vicenza ma non solo. Confrontiamoci sui numeri a questo tavolo di lavoro e vediamo se le cose stanno come noi pensiamo.

Uno che non è esperto, come me, pensa che c’è già il “Decreto flussi” del Governo sulle esigenze del sistema: ci sta facendo capire che non è efficace?

È macchinoso, ci sono lungaggini, e purtroppo non è sempre chiaramente ben accetto da parte di chi questo strumento lo deve avvalorare e rendere fruibile. Il problema fondamentale è che anche se lo strumento sulla carta esiste, alla prova dei fatti gli ostacoli ci sono. Se non c’è coinvolgimento pieno e proattivo, si trovano escamotage per rinviare, mettere in discussione. Ma il problema è vero e purtroppo è urgente.

C’è anche una narrazione non buona del tipo di lavoro che un giovane può trovare qui, per cui i ragazzi non sono attratti?

C’è di certo un tema del come coinvolgere le persone e ingaggiarle. Si parte dall’inizio, dal come si presenta il percorso in azienda: non basta parlare di dati tecnici come retribuzione, tipo di inserimento, ma va descritto anche un percorso. E soprattutto bisogna che questo percorso venga mantenuto: serve anche un tutoraggio maturo verso queste persone. È un percorso non facile che però le aziende devono acquisire. Perché va detto: c’è anche una corresponsabilità dell’azienda nell’attrarre persone, non basta semplicemente fare vetrina ma bisogna anche lavorare con la logica del coinvolgimento, e questo non si improvvisa. Serve un cambio culturale, i giovani vanno coinvolti: significa farli sentire parte di un progetto, continuare a investire in una loro formazione molto qualificante perché devono continuamente sentirsi competitivi verso il mercato. Questo è un tema che merita riflessioni urgenti dentro le aziende. Anche nel mondo dell’artigianato, perché è tutto un fronte che deve essere scompaginato e poi riordinato.

Il segretario Cisl dice che paghiamo gli ingegneri meno della Germania o dell’Olanda: c’è un problema di questo tipo?

E non solo sugli ingegneri. Io faccio parte di un gruppo di lavoro: abbiamo modo di analizzare il mercato del lavoro in Inghilterra, Francia, Germania, Spagna, anche Turchia, Polonia e altri. L’Italia non brilla per essere tra le prime in classifica come remunerazione, un po’ su tutto il fronte. Ma su questo tema bisogna chiamare in ballo il famoso “cuneo fiscale” (le tasse che l’azienda paga nella busta paga del lavoratore) su cui non si è mai detto abbastanza. Ci sono altri strumenti, come deduzioni e detrazioni per ricerca e sviluppo, e credo che l’Italia debba fare qualche passo avanti: ne ha fatti, ma non abbastanza. L’Olanda anche da questo punto di vista è purtroppo pioniera: bisogna uscire dal concetto di “costo del lavoro“, entrare in quello di “costo azienda” che riguarda anche le persone. In questa logica credo che l’Italia dovrebbe rivedere le sue posizioni.•.

Piero Erle

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