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DOPO IL MURO EUROPA DIVISA

La caduta del muro di Belino 9 novembre 1989. FOTO ARCHIVIO ANSA Il giornalista Federico Fubini La copertina del libro
La caduta del muro di Belino 9 novembre 1989. FOTO ARCHIVIO ANSA Il giornalista Federico Fubini La copertina del libro
La caduta del muro di Belino 9 novembre 1989. FOTO ARCHIVIO ANSA Il giornalista Federico Fubini La copertina del libro
La caduta del muro di Belino 9 novembre 1989. FOTO ARCHIVIO ANSA Il giornalista Federico Fubini La copertina del libro

A 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino, l’Europa si trova a fare i conti con un fossato che si sta scavando al suo interno. Un fossato che pare separare sempre più la democrazia vera da una parte, e lo sviluppo di nuova ricchezza all’altra. Come se il sistema democratico non fosse più in grado di generare prosperità e sicurezza, a differenza invece di sistemi che “democratici” magari sulla carta lo sono, ma in realtà si sono affidati mani e piedi a una guida stabile e “sicura”, affidandole ampi poteri. Ecco perché l’Europa vede di nuovo confrontarsi a distanza due mondi che mezzo secolo fa erano separati dal Muro. Da una parte i grandi Paesi dell’Europa occidentale come Germania e Francia, e Spagna subito dietro. Dall’altra l’area “Visegrad” (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) che un tempo era la frontiera del sistema comunista sovietico e adesso è una roccaforte del cosiddetto sovranismo populista. E l’Italia? Come allora, si trova tra i due fronti, come se vivesse ogni giorno l’incertezza di passare da una parte all’altra dello schieramento. E per questo attira su di sè le attenzioni straniere, come è sempre avvenuto nella sua storia. Sullo sfondo, poi, ci sono anche oggi le superpotenze: Usa e Cina, alla quale la Russia è sempre più vicina. È il quadro tracciato con la vivacità di un dialogo schietto da “L’impero diviso” (ed. Solferino), un libro che il giornalista e scrittore Federico Fubini, editorialista e vicedirettore del Corriere della Sera, ha scritto a due voci e quattro mani. È una conversazione infatti con qualcuno che 30 anni fa era “al di là del Muro”, il bulgaro Ivan Krastev che guida il Centre for liberal strategies di Sofia ed è tra i fondatori dell’European council on foreign relations di Londra. LA MEMORIA. Fubini e Krastev, con la bellezza dei ricordi delle loro storie personali, fanno rivivere prima di tutto l’entusiasmo che scoppiò alla caduta del Muro di Berlino. Da una parte, a Occidente, ci fu la sensazione dell’avvio di una nuova era in cui il sistema delle democrazie, delle libertà individuali e delle imprese, avrebbe trionfato ovunque e portato a un mondo più prospero. Dall’altra, nell’Europa Est, ci fu la magia del poter finalmente passare i confini, viaggiare, e il sogno di diventare come l’Occidente. Anche a costo, come avvenne, di diventare all’inizio ancora più poveri di prima. In realtà via via i lavoratori a basso costo di Polonia e Ungheria hanno preso a sfornare prodotti e componenti per l’industria della Germania: adesso temono la concorrenza dei robot. E lì c’è l’emigrazione di giovani, delle forze migliori, che va appunto per cercare lavoro al “centro” del sistema in Germania, Francia, Inghilterra. Chi però rimane nelle “province” sviluppa rabbia e voglia di chiudere i propri confini, per non lasciare uscire giovani e non lasciar entrare migranti. LE PROVINCE “RIBELLI”. La conclusione, sottolineano Fubini e Krastev, è che da una parte la Germania è accusata di aver manipolato l’Ue a sua immagine e controllo, e quindi alle masse viene indicato il “nemico” Bruxelles, ma dall’altra proprio l’Europa sembra ancora un orizzonte in cui si può sperare: non si riesce a prevedere un futuro roseo se il sovranismo dovesse prevalere anche nei Paesi più forti. Eppure questa evoluzione è già accaduta in parte negli Usa, per non dire di Russia e Cina. Ed è qui che si crea la nuova sfida: si fa strada l’idea che per riuscire a guidare i Paesi a un nuovo sviluppo, a una vita migliore, l’unica strada sia una “democrazia sovranista” in cui molti più poteri sono affidati a chi governa, a costo di sacrificare a questo anche diritti dell’individuo. Gli stessi grandi investitori finanziari e i grandi gruppi economici, sottolineano Fubini e Krastev, si sono accorti che vanno meglio a trattare con un potere forte e stabile come un Orbàn in Ungheria che non con democrazie i cui governi sono instabili e le regole cambiano di continuo. Eppure solo la prospettiva di un’Europa ancora unita, a buon senso, appare in grado di fare da contrappeso al potere della sola Germania o alle strategie di Usa e Cina nel mondo. Quindi, indica Fubini, c’è da chiedersi come l’Europa oggi risponderà alla domanda se attribuire meno importanza alle libertà e al liberalismo rispetto ad altri beni pubblici come la sicurezza dei confini e delle città, e l’efficienza del sistema. E dovrà esserci «un momento della verità sul posto che l’Italia (Paese che oggi vive molto di export) vuole in Europa». Fubini affronterà questo tema domani sera a Valdagno, alle 20.30 a palazzo Festari in corso Italia 63, presentando il suo libro con Guanxinet e il Comune valdagnese. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Piero Erle

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