VICENZA. Il sequestro chiesto dalla procura fino a 106 milioni di euro per tutelare, almeno parzialmente, le vittime del dissesto della Popolare di Vicenza, non è stato sollecitato a carico di Gianni Zonin. Il retroscena, per certi versi clamoroso, emerge a margine dello scontro conclamato fra la procura e il gip proprio sui sequestri e sul trasferimento di un troncone d’inchiesta a Milano. Dove, e oggi è ben più di un’impressione, l’indagine la rimanderebbero volentieri in Veneto.
Dopo le indagini della guardia di finanza, il procuratore e i sostituti Gianni Pipeschi e Luigi Salvadori avevano sollecitato sequestri per 106 milioni di euro ancorandoli al reato di ostacolo all’attività di vigilanza della Consob. Ora, non è noto se vi siano altre richieste, per altri importi e altri indagati, in relazione a reati diversi (come l’ostacolo alla vigilanza di Bankitalia o l’aggiotaggio). L’ostacolo a Consob sarebbe stato compiuto però non da tutti i 9 indagati, ma solamente - nell’ipotesi degli investigatori - dalla Banca, intesa in senso di istituzione, dal direttore generale Samuele Sorato e dal vicedirettore Emanuele Giustini. Era questa struttura a dover rispondere formalmente a Consob, non il consiglio di amministrazione presieduto da Gianni Zonin. Per questa ragione, i sigilli erano stati chiesti a BpVi (in un momento difficilissimo) e ai due ex manager. È probabile che altre misure possano essere state sollecitate, o lo saranno, anche a carico dell’imprenditore del vino. I sequestri sono stati autorizzati dal giudice, anche se in maniera «provvisoria».