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Arzignano

L'operaio kosovaro
e quella guida
contro gli infedeli

Una guida scritta in arabo con le disposizioni contro gli infedeli: fra di loro anche chi insulta il profeta
Una guida scritta in arabo con le disposizioni contro gli infedeli: fra di loro anche chi insulta il profeta
Una guida scritta in arabo con le disposizioni contro gli infedeli: fra di loro anche chi insulta il profeta
Una guida scritta in arabo con le disposizioni contro gli infedeli: fra di loro anche chi insulta il profeta

La svolta nell’inchiesta a carico di Arben Suma, l’operaio kosovaro di 30 anni accusato di apologia del terrorismo e istigazione all’odio razziale, potrebbe arrivare dal materiale che gli è stato sequestrato in casa durante la perquisizione a cui è stato sottoposto dagli uomini della Digos di Brescia. Tra le carte e le immagini presenti nel computer di Suma ci sono infatti anche due libri, volumi che confermerebbero la sua vicinanza all’estremismo islamico e alla jihad.

UCCIDERE L’INFEDELE. Uno dei due manoscritti, una copia comperata e non scaricata dal web, ha come titolo “Le disposizioni su chi insulta il profeta”. All’interno, poi, c’è un capitolo interamente dedicato alla “legittimità/obbligatorietà di uccidere chi insulta il profeta”. Libri scritti da ideologi dell’islam che vanno così ad aggiungersi al resto del materiale rinvenuto e che ribadirebbe i frequenti contatti diretti dell’operaio con sospetti terroristi di matrice islamica residenti in Kosovo e in Macedonia. Una frequentazione che si sarebbe intensificata in maniera sensibile soprattutto negli ultimi due anni. E tutto questo si somma alle parole che Suma ha affidato alla sua pagina facebook dopo gli attentati a Parigi dello scorso 13 novembre: «Anch’io sono solidale con i francesi nella stessa misura in cui loro sono solidali con le vittime musulmane. A loro non interessa il sangue versato dai musulmani e neanche a me interessa il sangue dei francesi. Questa è la solidarietà più giusta in questa vita». In calce l’hashtag che dopo la strage al Bataclan ha fatto il giro del mondo “Pray for Paris” a cui Suma ha aggiunto il suo personale post scriptum: «Preghiamo per Parigi nella misura in cui loro piangono le vittime musulmane».

SORVEGLIANZA SPECIALE. Il materiale sequestrato nell’abitazione dell’operaio kosovaro, residente ad Arzignano, per gli investigatori bresciani conferma la sua contiguità agli altri componenti della presunta reti di jihadisti sgominata nell’operazione ribattezzata “Van Damme”. A Suma è stata così applicata la misura di “sorvegliato speciale”. Un provvedimento richiesto direttamente dalla procura generale anti-mafia e terrosismo che ora il tribunale di Vicenza sarà chiamato a confermare nell’udienza di convalida fissata il prossimo 8 gennaio davanti al presidente Deborah De Stefano. La notifica arrivata all’avvocato Marco Andreatta, chiamato a difendere Suma, è una misura di sicurezza che presuppone l’apertura di un procedimento penale a carico di chi si ritiene possa commettere atti preparatori con finalità di terrorismo. In Italia è stata applicata martedì mattina per la prima volta. Di fatto Suma è indiziato di una sorta di concorso esterno a un’associazione terroristica.

CONTATTI NEL WEB. Tra le accuse contestate all’operaio, nell’ordinanza arrivata nello studio dell’avvocato bassanese, ci sono in particolare i suoi contatti, ripetuti, via facebook con persone e ambienti considerati dagli investigatori espressione diretta della jihad internazionale. Suma, che frequenta il centro islamico di Arzignano, sempre nel suo profilo aperto nel social network, nei giorni post-attentato a Parigi, ha anche postato alcune vignette dal contenuto piuttosto eloquente. In una si vede il presidente francese François Hollande versare benzina sulla Siria e per tutta risposta vedere una colonna di fumo nero levarsi e assumere le sembianze di un combattente di Daesh (sinonimo del sedicente Stato Islamico) pugnalare a morte proprio il cuore della Francia. E ancora diversi video di predicatori ripresi e condivisi da un canale specializzato nella diffusione della cultura jihadista. Ora nelle ulteriori indagini, gli inquirenti bresciani dovranno arrivare a chiarire se, e fino a che punto, l’operaio fosse vicino alla jihad e fino a che punto i contatti emersi finora lo legassero al califfato.

Matteo Bernardini

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