Nella battaglia tra enti la spunta, per il momento, la Soprintendenza. Il Tar ha respinto il ricorso della Regione (con il Comune costituito in giudizio) contro il maxi-vincolo sui Berici introdotto dalle Belle arti nella zona di Monte Berico e della Riviera Berica nell’aprile di due anni fa con pubblicazione in Gazzetta ufficiale. Per i giudici del tribunale amministrativo regionale il provvedimento che è stato firmato dai funzionari dell’ente che fa riferimento al Ministero della cultura è legittimo. E dunque, per ora, resta.
Un breve riepilogo
La vicenda inizia nel 2021 quando il Ministero - tramite la Soprintendenza - decide di dichiarare il notevole interesse pubblico dell’area di Monte Berico e della Riviera Berica settentrionale, reputata «bellezza panoramica» avente «valore estetico tradizionale». La dichiarazione, come si legge nella sentenza del Tar, viene accompagnata dall’imposizione di una specifica disciplina d’uso. Vale a dire da una serie di restrizioni che di fatto congelano molti degli interventi possibili nella vasta area di 12 mila metri quadrati che è delimitata da Retrone e Bacchiglione e che è contenuta tra la ferrovia e l’autostrada. È una zona dove non si può costruire, salvo all’interno degli ambiti che sono stati definiti come “insediamenti urbani consolidati”.
Zone "vietate"
Sono buona parte di Gogna, Sant’Agostino, le case storiche di Borgo Berga, le abitazioni ai piedi di Monte Berico lungo via Casanova, via Leoni (dall’altra parte dell’ex Cotorossi), Casale e Campedello. Come riporta il Tar la Regione «nell’ambito del provvedimento di approvazione del vincolo si è espresso in senso favorevole. Ciononostante il decreto è stato comunque approvato» e per questo motivo gli uffici regionali «ritenendolo sotto vari profili illegittimo lo ha impugnato». Due le motivazioni: difetto di motivazione con violazione del principio di leale collaborazione; eccesso di potere per travisamento dei fatti e irragionevolezza manifesta. Secondo la Regione nell’area identificata «non sarebbe riscontrabile alcuno dei tratti caratteristici del paesaggio che il Ministero dichiara di voler tutelare con l’imposizione del vincolo paesaggistico».
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La bocciatura del Tar
Per il Tar, però, le motivazioni non sono accoglibili. Secondo i giudici «le censure articolate non sono fondate e accoglibili» poiché - come si è già pronunciata la Corte costituzionale - la potestà ministeriale di dichiarare il notevole interesse pubblico «non costituisce un potere straordinario o eccezionale, ma rappresenta la manifestazione della competenza costituzionale dello Stato di riconoscere e tutelare i beni del patrimonio culturale». Il tribunale amministrativo parla poi di «considerazione estremamente generiche, non idonee ad evidenziare profili di inattendibilità o irragionevolezza». «Il Ministero - prosegue il Tar - ha specificato che la perimetrazione della suddetta area deriva dall’eccezionale stato di conservazione del paesaggio agrario tradizionale nel quale si rinvengono testimonianze di antiche tecniche di coltivazione locale, emergenze di speciale rilevanza naturalistica (la Falesia di Gogna) e storico architettonico (l’ambito di Sant’Agostino)». Il tribunale al rilievo della Regione («Paventa che una tale disciplina sia eccessivamente gravosa e suscettibile di determinare un abbandono dei campi da parte degli agricoltori») replica che i «rilievi sono genericamente formulati e non dimostrati. La disciplina d’uso consentendo l’esecuzione di manufatti strettamente correlati alla conduzione del fondo, si presenta coerente con le finalità del vincolo e prende in specifica considerazione le esigenze della produzione agricola». E ancora: «La prova del vizio avrebbe richiesto quantomeno la specificazione di dati concreti circa la tipologia di azienda agricole insediate sul territorio».
Da qui la decisione del Tar di respingere il ricorso.