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Vicenza/Mantova

Orafo ucciso durante la rapina: annullati cinque ergastoli 26 anni dopo il delitto

L'assalto finito nel sangue avvenne nel 1996 a Suzzara, nel Mantovano. La Cassazione ha deciso che deve essere rifatto il processo d’appello. Quattro dei cinque imputati sono giostrai vicentini.
L'articolo sulla vicenda apparso sul Giornale di Vicenza nel 1996
L'articolo sulla vicenda apparso sul Giornale di Vicenza nel 1996
L'articolo sulla vicenda apparso sul Giornale di Vicenza nel 1996
L'articolo sulla vicenda apparso sul Giornale di Vicenza nel 1996

Ventisei anni dopo l’omicidio non c’è ancora una verità processuale. Ennesimo colpo di scena della vicenda giudiziaria che vede sedere al banco degli imputati Adriano Dori, 48 anni, Danilo Dori, 58, Stefano Dori, 51, e Giancarlo Dori, 56, tutti domiciliati a Vicenza, e Gionata Floriani, 44, padovano, accusati di aver ucciso Gabriele Mora, titolare di una gioielleria di Suzzara nel Mantovano, il 19 dicembre del 1996. Martedì scorso, la Cassazione ha annullato la sentenza della Corte d’assise d’appello di Brescia, che un anno fa aveva condannato all’ergastolo i presunti responsabili del fatto di sangue. I giudici della Suprema corte hanno inoltre disposto che venga celebrato un nuovo processo di secondo grado, a Milano.

L’assalto e il sangue

Quel tragico pomeriggio del 19 dicembre di 26 anni fa, un gruppo di rapinatori assaltò la piccola gioielleria di Mora, orafo di 44 anni, nel paese della Bassa Mantovana. Cercando di difendere la moglie dai colpi di arma da fuoco esplosi dal commando armato, il titolare corse in negozio dal laboratorio e fece fuoco a sua volta colpendo Rudy Casagrande, 25 anni, uno dei componenti della banda. I complici di quest’ultimo reagirono e spararono diversi colpi a Mora, che morì poco dopo tra le braccia della moglie, sotto choc. La banda fuggì a mani vuote dalla gioielleria. I banditi, come venne ricostruito successivamente dagli inquirenti, scapparono a bordo di una Volvo station wagon: prima in direzione di Pegognaga, poi lungo l’autostrada del Brennero, la Serenissima e quindi la Valdastico. Casagrande venne spogliato di tutti gli oggetti che potevano permettere alle forze dell’ordine di identificarlo e scaricato senza vita davanti all’ospedale di Thiene. La Volvo, che era stata rubata nel Padovano, venne invece ritrovata nel cortile di un’abitazione in costruzione in via Pagello, a Caldogno. L’auto era stata data alle fiamme.

Le indagini

All’epoca le indagini si concentrarono fin da subito nell’ambiente dei giostrai veneti. Qualche tempo dopo finì in manette un nomade padovano, ma poi emerse la sua estraneità alla tragica vicenda. Più tardi un’operazione dei carabinieri di Venezia, Mantova, Padova, Verona e Vicenza portò all’arresto di altri 12 giostrai sospettati di numerose rapine, anche nel Mantovano. Pure loro, però, non c’entravano nulla con il tentato colpo di Suzzara. Per oltre vent’anni la drammatica rapina rimase un caso irrisolto. Poi, nel 2017, le rivelazioni di un presunto pentito, Patrick Dori, e le intercettazioni telefoniche portarono all’identificazione dei cinque giostrai che vennero iscritti sul registro degli indagati con l’accusa di avere fatto parte del commando mortale. Tra la fine di quell’anno e l’inizio del 2018, però, i tribunali di Mantova e di Brescia rigettarono la richiesta formulata dal procuratore mantovano Manuela Fasolato di arrestare i presunti componenti della banda. Per entrambi i giudici che esaminarono il caso e le carte processuali non esistevano le condizioni per firmare un’ordinanza di arresto «difettando l’attualità e la concretezza del pericolo stesso». In sostanza, per i giudici Floriani e i Dori non potevano né inquinare le prove né reiterare il reato per il quale erano stati iscritti sul registro degli indagati. E allora la procura mantovana decise di ricorrere al parere della Cassazione, chiedendo pure alla Suprema corte l’arresto dei cinque giostrai. Ma nemmeno la Cassazione diede parere favorevole.

I processi 

Adriano Dori, Danilo Dori, Stefano Dori, Giancarlo Dori e Gionata Floriani, difesi dagli avvocati Andrea Frank, Marco Napolitano, Marco Borella e Venera Bottino, finirono a processo davanti alla Corte d’assise di Mantova. Nel settembre del 2019 il pubblico ministero Giulio Tamburini chiese che i cinque imputati venissero condannati all’ergastolo. La sentenza di primo grado, però, fu di assoluzione «per non aver commesso il fatto e per la contraddittorietà delle prove». Due anni dopo, invece, la Corte d’assise d’appello di Brescia ribaltò completamente la sentenza, condannando i 5 imputati all’ergastolo. Una volta lette le motivazioni, le difese presentarono ricorso in Cassazione.

Il nuovo verdetto

Il pronunciamento della Suprema corte risale a due giorni fa. Come richiesto dalla procura generale, i giudici hanno annullato la sentenza di secondo grado, ordinando un nuovo processo d’appello. «La contestazione della motivazione della sentenza d’appello da parte delle difese è stata ritenuta assolutamente fondata», dichiara l’avvocato veneziano Borella. Secondo i difensori degli imputati, il presunto pentito che ha puntato il dito contro gli imputati avrebbe raccontato bugie e non sarebbe attendibile. «Il problema si incentra sull’attendibilità del teste. Noi l’abbiamo negata dal primo giorno - sottolinea il legale -. Ora ci sarà un processo d’appello bis. Però si discuterà nel merito, che è una cosa un po’ diversa. Aver superato l’ostacolo della Cassazione non è stato poco. Abbiamo una sentenza di primo grado di assoluzione, un ergastolo in appello, un annullamento in Cassazione. Insomma, voglio dire chi è che ci dice che non c’è un ragionevole dubbio sulla colpevolezza degli imputati», conclude.  

Valentino Gonzato

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