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L'intervista

Sandro Pupillo: «Io più fortunato di Mihajlovic. La malattia è anche un dono, ci insegna ad amare la vita»

Il consigliere comunale parla dell'ex tecnico del Bologna scomparso a 53 anni e della sua esperienza.
Sinisa Mihajlovic ha lottato contro la leucemia per oltre tre anni
Sinisa Mihajlovic ha lottato contro la leucemia per oltre tre anni
Sinisa Mihajlovic ha lottato contro la leucemia per oltre tre anni
Sinisa Mihajlovic ha lottato contro la leucemia per oltre tre anni

«Una morte che mi tocca nel profondo». Poche parole. Un cuore spezzato e l’immagine di Sinisa Mihajlovic sorridente. Così Sandro Pupillo ha voluto ricordare sui suoi profili social l’ex giocatore e allenatore scomparso a 53 anni dopo una lunga battaglia contro la leucemia. Pupillo quel male lo conosce bene. L’ha toccato da vicino. Lo tocca da vicino. E per lui, diventato - a Vicenza e non solo - un simbolo di resistenza, tenacia e coraggio, l’addio non può essere come per tutti gli altri. «Al sentimento che tutti abbiamo provato di dispiacere di fronte a un personaggio che comunque ha messo in pubblico la malattia fin da subito, evidenziando anche le fragilità e la voglia di combattere, si aggiunge un dolore forte, perché ho avuto lo stesso problema di salute».

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Come si è sentito quando ha saputo della sua scomparsa?
Mi è dispiaciuto molto. Ho letto che il decesso è dovuto a una complicanza legata a un’infezione che si è aggravata portandolo alla morte. Ho vissuto anche io quella paura: quando sei in aplasia, che è la fase in cui le difese immunitarie sono alterate, qualsiasi infiammazione virale o batterica può risultare letale. In quel momento, sai bene che al di là del combattere la malattia ci sono anche una serie di complicazioni che nascono; e che purtroppo non sempre riescono a essere gestite da un punto di vista farmacologico e terapeutico.

Tra l’altro anche lei, come Mihajlovic, ha dovuto fare i conti con una ricaduta.
Sì, dopo un anno dal trapianto. Ho avuto quella che tecnicamente viene definita “Recidiva post-trapianto”. Mi ha colpito a livello cerebrale e sono stato ricoverato. Mancavano venti giorni alle elezioni del 2018. 

Lì cosa si pensa?
Si rivive tutto. Mi ricordo perfettamente quei giorni di grande preoccupazione. Facevo fatica a parlare. Mi sono affidato alla medicina e alla professionalità dei medici. Con un messaggio chiaro che ho sempre detto loro: “La vita è un dono, non è un diritto”. Se arrivate a propormi delle cure di accanimento terapeutico: non ci sto.

Un messaggio forte.
Sì e lo penso davvero. Ho sempre pensato che la morte esiste. Ho sempre accettato il fatto di poter morire. Ho sempre avuto fiducia nella medicina. E ora ho la fortuna di avere la grande forza di essere qui e di continuare a combattere.

A proposito di combattere. Lei si arrabbia molto quando legge in qualche titolo o commento “è stato sconfitto dalla malattia”.
Guardi, ho vissuto la malattia assieme a tante altre persone e le ho viste combattere anche in maniera più energica di me. Anche con maggiore determinazione.

Di lei? Davvero?
Sì. Ci sono state persone attaccate alla vita in maniera esponenziale e che purtroppo non ce l’hanno fatta. E se, al termine, la restituzione di quella che era stata una grande lotta o una grande testimonianza di vita si trasforma in “È stato sconfitto dalla malattia”, “La malattia è stata più forte” mi arrabbio. Perché questi titoli non danno giusto valore al vero messaggio di quella persona.

Qual è il messaggio?
È un messaggio di vita. Tutti moriamo prima o poi, chi per malattia o chi per altri motivi. Ma ciò che conta è come si è vissuto. La morte fa parte di ognuno di noi: sconfigge tutti. Per questo dobbiamo mettere l’accento su come ha vissuto una persona e su come ha affrontato la vita.

Come è stato per Mihajlovic.
Sì. Pur mostrando le sue fragilità non ha dato un messaggio di rinuncia, ma sempre di speranza e voglia di farcela.

Sono tutte caratteristiche che sembra di rivedere in lei.
Sì, ho sempre avuto questo atteggiamento. Ho sempre creduto nella forza della testimonianza. La malattia fa parte dell’essere umano. Credo che parlare in pubblico, se si è personaggi pubblici, sia fondamentale. Testimoniando con forza e determinazione e mostrando anche debolezze.

Ne approfittiamo. Quale messaggio si sente di lanciare?
Intanto che oggi rispetto alle malattie del sangue si può guarire. Un tempo le malattie erano mortali. Oggi invece la gran parte delle persone fortunatamente guarisce. E questo grazie ai grandi passi avanti che ha fatto la medicina. Qui ci sono due considerazioni da fare.

Prego...
La prima è che è molto importante investire sulla ricerca. Purtroppo a livello governativo lo facciamo troppo poco.

E la seconda considerazione?
È un messaggio che fa a pugni con quello che oggi la società ci propone: messaggi divisivi, che alzano muri. Oggi viviamo i fatti come le tifoserie. O si sta da una parte o dall’altra. Il grande messaggio che consegna la malattia, invece, è quello di essere fratelli. Ed è un messaggio che si concretizza con la donazione.

Quanto è importante il “dono”?
È fondamentale. È un atto di generosità e altruismo; significa essere fratelli e sorelle. Io ho un fratello-gemello, Fabio, con cui avevo un patrimonio genetico speculare. Adesso ho un altro gemello, il mio donatore. E il patrimonio genetico è più speculare di Fabio. Tant’è che ho cambiato il gruppo sanguigno; ora è quello del mio donatore. 

Ha ancora il desiderio di incontrarlo?
Sì. Molto forte. Capisco che ci debba essere una forma di tutela di anonimato ma ciò non toglie che il regalo più bello che possa ricevere un domani è quello di poterlo abbracciare e ringraziare. 

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Lei come sta?
Sto bene. Ho fatto delle visite di recente. Sono nella fase di follow-up in cui devo essere monitorato ogni sei mesi. Ma gli esiti sono rassicuranti; finché le cose non cambiano, chiaro (sorride)

Come si vive con questa malattia?
Quando ti capitano disavventure così complesse, è come affrontare una guerra. Sei in qualche modo vincitore, hai lo sguardo rivolto al futuro, alle cose che non hai fatto e che vuoi fare. Hai capito l’importanza del tempo e della vita. Anche se c’è sempre qualcosa che ti spinge a voltarti indietro e pensare a chi non ce l’ha fatta. 

E cosa si prova?
C’è un senso di ingiustizia. “Perché io sì e loro no”, ti viene da dire. E poi c’è sempre il pensiero che questa malattia possa tornare.

E adesso come vive?
C’è una differenza tra il dire “sono malato” o “ho una malattia”. Ecco, non mi sono mai sentito malato ma ho la consapevolezza di avere una malattia. Ho sempre pensato che tutte le difficoltà, le ristrettezze e le privazioni potessero trasformarsi in nuove opportunità. Non privandomi di nulla ma provando a trasformare le esperienze. 

Ad esempio?
È evidente che non posso fare una biciclettata in montagna, ma ciò non toglie la voglia di andare in bici. Quindi cerco di farlo in maniera diversa. Questo è il dono della malattia: vivere la vita e farlo con consapevolezza.

L’intervista si conclude qui. Vengono due concetti dal cuore da dire a Sandro Pupillo: grazie delle parole. Più che un’intervista è stata una lezione di vita. La risposta spiazza di nuovo: «Non date per scontata la normalità. Anche la normalità è straordinaria. Alzarsi la mattina e dire sto bene è importante. La vita è unica e va vissuta fino in fondo. Il motto è “Vivere non vivacchiare”»

Nicola Negrin

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