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L'intervista

La deputata leghista Covolo: «Una situazione insostenibile, non c’era unità per governare»

di Roberta Labruna
La deputata della Lega, Silvia Covolo
La deputata della Lega, Silvia Covolo
La deputata della Lega, Silvia Covolo
La deputata della Lega, Silvia Covolo

Fino a poche ore fa il monopolio della colpa di una crisi di governo era dei 5 Stelle, tacciati come irresponsabili, ma da ieri non è più così. Perché in Senato è andato in scena il giorno della marmotta. Con Matteo Salvini che, stavolta portandosi appresso pure Forza Italia, ha rifatto un nuovo Papeete e mandato a casa il premier che molti nel mondo ci invidiavano. La deputata leghista Silvia Covolo, però, difende la linea del suo partito: «La situazione era diventata insostenibile, l’unità per governare purtroppo non c’era più».

 

I 5Stelle vi hanno servito l’assist e voi avete tirato in porta. Se lo aspettava che alla fine foste voi a dare il colpo di grazia a Draghi?

È stato gravissimo che i 5 Stelle non abbiano votato la fiducia sul decreto aiuti, per un termovalorizzatore. Loro si sono posti al di fuori dell’azione del governo. Se voi aveste confermato la fiducia al premier il governo sarebbe andato avanti. Era ciò che chiedevamo con la nostra risoluzione: ripartiamo senza i 5 Stelle. Ma il documento non è stato neanche posto in votazione, abbiamo visto una chiusura nell’accoglimento delle nostre istanze.

 

La vostra risoluzione non diceva solo questo: chiedeva un rimpasto di governo e discontinuità sul programma. Come avrebbe potuto accettarlo Draghi? Avete chiesto una cosa ben sapendo che avrebbe portato alla rottura?

No, non è così. Ma non abbiamo visto segnali di apertura nell’intervento del premier.

 

Ha fatto un discorso troppo duro?

Ho apprezzato che sia presentato in aula e anche il suo richiamo all’autonomia. Ma non ha parlato di temi per noi importanti, come la flat tax e la pace fiscale.

 

Ha parlato però di una misura che era in via di definizione e che in teoria vi sarebbe dovuta essere cara: il taglio del cuneo chiesto da imprese e lavoratori.

Vede, il problema è l’impostazione: al di là delle singole misure, ciò di cui noi vedevamo la necessità era un cambiamento di approccio generale per rilanciare l’azione del governo. Di un maggior coinvolgimento del parlamento e un’attenzione complessiva ai temi posti.

 

Non c’era più niente che funzionava secondo voi, quindi?

Da alcuni mesi la maggioranza, per colpa dei 5 Stelle ma anche del Pd che ha voluto mettere sul piatto temi come lo ius scholae o la cannabis, era sempre più divisa e con i diktat è difficile andare avanti.

 

I diktat li avete posti spesso voi, non è così?

No. Le faccio un esempio: è vero che abbiamo tenuto bloccata la delega fiscale per il catasto, ma abbiamo cercato di mediare prima dell’arrivo in aula. Mai abbiamo fatto mancare la fiducia.

 

Le uscite di Salvini sono sembrate più quelle di un leader di opposizione che di maggioranza. A questo punto non sarebbe stato più sensato che non foste andati al governo?

Siamo andati al governo convintamente, per senso di responsabilità, perché il Paese era in grave difficoltà.

 

Se è per questo, le ragioni che hanno portato alla nascita di questo governo non sono venute meno, semmai sono aumentate visto che ora c’è pure una guerra.

Ne siamo consapevoli, ma la convergenza e la disponibilità dei partiti a lavorare insieme è venuta meno e piuttosto che un governo impossibilitato a fare le cose che servono, meglio il voto.

 

I vostri governatori non la pensavano così.

Abbiamo tentato fino all’ultimo di evitare questo scenario e se ci fossero state le condizioni per lavorare serenamente saremmo stati contenti di proseguire.

 

Come pensate di spiegare al Veneto questa decisione?

Dicendo la verità: che il governo, non per colpa nostra, non era più in grado di essere incisivo.

 

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