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Un drammatico caso

L'udienza dopo quattro anni dalla denuncia per violenza. Lidija nel frattempo è stata uccisa

L’altro giorno il termine della vicenda processuale: dopo otto rinvii entrambi sono morti: Zlatan ha ucciso Lidija e poi si è sparato.
Era accusato di violenza l’uomo che freddò fidanzata ed ex (Foto archivio GdV)
Era accusato di violenza l’uomo che freddò fidanzata ed ex (Foto archivio GdV)
Era accusato di violenza l’uomo che freddò fidanzata ed ex (Foto archivio GdV)
Era accusato di violenza l’uomo che freddò fidanzata ed ex (Foto archivio GdV)

La giustizia questa volta è arrivata decisamente fuori tempo massimo. Un ritardo che suona oltremodo beffardo nel leggere il dispositivo della sentenza che l’altro giorno, il 14 settembre, il giudice Toniolo ha sottoscritto dichiarando il non luogo a procedere, per morte del reo. Sì, perché il reo in questione, Zlatan Vasiljevic, trascina con sé una storia tragica. Da qualsiasi punto la si voglia guardare e prendere in considerazione, compresa la sentenza di mercoledì.
Vasiljevic, che risultava a processo per maltrattamenti in famiglia, l’8 giugno scorso ha infatti freddato la donna che lo aveva denunciato (e quindi fatto scattare l’inchiesta che ha portato al dibattimento) togliendosi a sua volta la vita non prima di avere assassinato anche quella che nel frattempo era diventata la sua nuova compagna.

Dopo 8 rinvii, entrambi sono morti: Zlatan ha ucciso Lidija 

La vicenda giudiziaria arrivata a sentenza l’altro giorno era iniziata addirittura nel 2018, anno in cui la denuncia di Lidija Miljkovic era stata iscritta a ruolo dal pubblico ministero Angelo Parisi. A leggerlo ora, col senno di poi, quel capo di imputazione, fa rabbrividire. La moglie aveva raccontato l’inferno in cui Zlatan l’aveva fatta precipitare addirittura dall’agosto 2006. 
Insulti, minacce, violenze, soprusi. Botte e scatti d’ira improvvisi e incontrollabili. Alla fine, il 7 febbraio 2019 Vasiljevic viene rinviato a giudizio dal giudice Roberto Venditti. La vicenda insomma finisce in aula, ma è a questo punto che tutto si incaglia. La prima udienza è fissata il 17 aprile 2019, quella successiva il 22 maggio dello stesso anno.  Ecco, poi l’ingranaggio si inceppa e cominciano i rinvii. Al 27 gennaio 2020, al 26 febbraio successivo. Nel frattempo arriva la pandemia; le udienze si interrompono, almeno quelle che non prevedono urgenze. Quando ricomincia il procedimento però viene nuovamente spostato: una, due, tre, quattro, cinque volte. 

 

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Si arriva quindi al 14 settembre: l’altro giorno. Ma ormai la storia è già stata scritta. E purtroppo nella maniera più tragica e drammatica possibile che tutti purtroppo conosciamo. Ma la giustizia deve fare il proprio corso, così l’altro giorno in aula, come previsto, arriva il fascicolo legato alla vicenda di Zlatan e Lidija e dell’accusa per i pensanti e ripetuti maltrattamenti a cui lui l’ha costretta. Nel campo di imputazione, si legge, addirittura dal 26 agosto 2006. Poi ci sono altri episodi sparsi nel tempo. Fino alla denuncia del 2018 che aveva portato all’inizio del tutto. 
L’udienza, mercoledì, è stata breve. Il giudice ha preso atto del certificato di morte acquisito negli atti processuali e ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti dell’imputato in ordine ai reati a lui ascritti poiché estinti per la sua morte. 

 

Le due vittime, Gabriela Serrano (a sinistra) e Lidia Miljkovic (a destra), e al centro, Zlatan Vasiljevic
Le due vittime, Gabriela Serrano (a sinistra) e Lidia Miljkovic (a destra), e al centro, Zlatan Vasiljevic

 

«Zlatan non si era mai redento. Era un manipolatore. E se il processo che stavamo aspettando per dei fatti accaduti nel 2018 si fosse celebrato prima, Lidija sarebbe ancora qui», aveva detto al nostro giornale Nemanja, il fratello di Lidija, dopo l’assassinio della sorella. L’istruttoria, come aveva ricordato l’avvocato Stefano Peron, il legale che seguiva i familiari di Lidija anche nella causa in questione, si era ormai conclusa, proprio in aprile. «In quella data (il 26 aprile scorso, ndr) doveva tenersi la discussione e quindi la sentenza. L’istruttoria era stata completata», aveva ribadito l’avvocato Peron. Invece tutto è arrivato, drammaticamente, troppo tardi; compresa una sentenza che chiude solo un aspetto burocratico lasciando ancora aperti troppi interrogativi e profonde ferite.

 

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Matteo Bernadini

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