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La testimonianza

Il grido del commerciante russo a Vicenza: «L'Europa doveva muoversi prima»

di Alessia Zorzan

Accetta di parlare, di condividere pensieri ed emozioni, ma chiede che non vengano precisati il suo cognome e nemmeno l’attività lavorativa. «Metta pure il nome e scriva pure che gestisco un’attività commerciale in centro storico, ma altri dettagli per favore no, è un momento molto delicato e non vorrei creare problemi a nessuno, nemmeno a chi lavora con me». La situazione è difficile e la tensione alta. La prima richiesta dunque è quella di mantenere un basso profilo. Non è facile per Nikolay I., 35 anni, affrontare tutta questa situazione. Padre russo, madre moldava, compagna bielorussa, un fratello al fronte proprio al confine con il Donbass. Fino ai 15 anni è cresciuto nella città di Ivanovo, «una realtà tessile, detta anche la città delle spose, perché c’erano molte donne impiegate nel settore e gli uomini andavano là per conoscere le ragazze», ricorda. Poi si è trasferito in Italia, dove ha studiato e avviato la sua attività commerciale nel cuore del capoluogo. 
La serenità però è lontana. «È tutto molto triste - spiega - chiarisco subito che sono assolutamente contro questa violenza, questa guerra. Nel 2022 è una cosa inconcepibile La guerra non dovrebbe nemmeno essere considerata l’ultima spiaggia, proprio non dovrebbe esserci». Ma ci tiene a separare i livelli. «Non è giusto però semplificare tutto. Non è una guerra voluta dal popolo - precisa - nessuno ha chiesto ai russi se volevano andare a combattere. I ragazzi che sono in Ucraina, sia russi che ucraini, sono carne da macello in un gioco tra potenti che se ne approfittano. Sono ragazzi di 18 anni che neanche capiscono cosa sta accadendo». Una guerra che coinvolge direttamente moltissime famiglie, creando fratture. «Non c’è un russo che non conosca qualcuno in Ucraina - continua - che siano parenti, amici, colleghi. Io stesso ho parenti a Odessa, anche una cugina musicista, sento anche loro. È sconvolgente». 
Al fronte c’è anche il fratello di Nikolay. Ha 26 anni, è medico. «Si trova sul confine con il Donbass. Accoglie e cura i soldati feriti, li cuce praticamente. Lo sento tutti i giorni, mi ha detto che è rimasto anche 13 ore senza mangiare e bere. Mi racconta di come siano molte anche le perdite tra i soldati russi. Non è certo felice di essere là». Quel che Nikolay chiede «è di guardare alla situazione nel suo complesso, analizzarla con mente lucida, cercare di ragionare e capire il quadro». Non vuole «difendere nessuno», ma precisa che «la Russia ha dato tanti preavvisi, non ha mai nascosto la propria posizione, solo che non è stata presa sul serio. Nel corso degli anni, in Occidente, è stata alimentata una sorta di russofobia, che ha generato tensione. E ora armare l’Ucraina non servirà a risolvere tutta questa situazione, anzi in questo modo ci si pone allo stesso livello. La Russia difende il proprio popolo e lo stesso fa l’Ucraina. Quel che serve adesso è una forte azione diplomatica da parte dell’Europa in particolare, un’azione che permetta subito di fermare i bombardamenti e poi porti a un ragionamento tra le parti. La forza di Europa e Occidente deve essere quella. Serve il dialogo, non serve gettare benzina sul fuoco. Mi chiedo cosa si stia aspettando. Alzare continuamente la tensione non servirà. Putin sicuramente non farà un passo indietro da solo». 
Nikolay legge, si informa: «Parlo sei lingue e per fortuna possono leggere le notizie di diversi Paesi. Cerco di tenermi aggiornato il più possibile e capire. Tutto questo non è certo frutto di questi ultimi giorni, ma di una lunga tensione tra le parti e anche in Ucraina. Si dovevano capire i segnali, invece non sono stati considerati». 
Quel che teme è anche una ripercussione sui cittadini russi «che già stanno vivendo una situazione difficilissima, anche per le sanzioni. Si sentono dire i capi di Stato “rovineremo i russi”, ma ci sono famiglie, persone, che certo non hanno spinto per la guerra. In Germania c’è stato chi ha rifiutato l’ingresso in un ristorante a persone russe, non possiamo ridurci così in un tutti contro tutti». 
La speranza di Nikolay «è che si arrivi a mettere un punto fermo il prima possibile, altrimenti ne pagheremo tutti le conseguenze. E saranno pesanti. Già le vediamo sul piano economico anche qui in Italia».  

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