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Vicenza

C’era una volta l’anguriara. «Qui era il mondo prima dei social»

Da un anno l’attività di viale Fiume ha chiuso i battenti, era stata aperta nel 1963. «La nostra ricetta? La calma»
Lo spazio dimenticato L’anguriara di viale Fiume è stata a lungo un punto di ritrovo per i residenti del quartiere e non solo COLORFOTOQuel che resta All’esterno rimangono i segni dell’epocaIl passato Le angurie in fresca nella tinozza in viale Fiume ARCHIVIO
Lo spazio dimenticato L’anguriara di viale Fiume è stata a lungo un punto di ritrovo per i residenti del quartiere e non solo COLORFOTOQuel che resta All’esterno rimangono i segni dell’epocaIl passato Le angurie in fresca nella tinozza in viale Fiume ARCHIVIO
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Lo spazio dimenticato L’anguriara di viale Fiume è stata a lungo un punto di ritrovo per i residenti del quartiere e non solo COLORFOTOQuel che resta All’esterno rimangono i segni dell’epocaIl passato Le angurie in fresca nella tinozza in viale Fiume ARCHIVIO

Dica la verità. «Prego». Quando ha mangiato l’ultima fetta di anguria? «Guardi proprio ieri sono andato a comprarne una. Lì dove vado sempre. La go verta e la jera eccesionale». Ecco allora ne approfittiamo subito: ora che non deve più difendere il suo business può svelare ai vicentini e non solo il segreto per acquistare un’anguria buona? «No go xe. C’è chi ti fa vedere che la batte e che puoi sentire se è avanti o indietro solo dando qualche colpo. Ma la verità è che scopri se un’anguria è buona solo una volta che l’hai aperta». Un po’ come l’uovo di cioccolato che ti riserva la sorpresa? «Bravo. Proprio così. C’è, però, un segreto». Quale? «Scegliere un buon produttore; e che sia soprattutto affidabile. Lì si va sul sicuro».

I titolari dell'ultima anguriara di Vicenza

E se ve lo dice Franco Martin, c’è da crederci. Probabilmente il nome a più di qualcuno potrebbe non dire granché. In realtà Martin, con la moglie Cinzia Zamparini, è stato il titolare dell’ultima anguriara in città. Fino a qualche tempo fa, in quello spiazzo di viale Fiume, i due sfornavano fette rosse succose, con bibite, granite e bevande. Dall’anno scorso, però, hanno deciso di chiudere i battenti. «Sì - commenta - siamo andati in pensione perché eravamo stanchi. Non c’era, e non c’è, più riscontro. Non era più come una volta che la nostra anguriara era sempre piena. No, ormai si lavoricchiava; erano più le ore morte di quelle di lavoro. È proprio cambiato il mondo. Alle 11 di sera c’era il coprifuoco».

Il covid non c'entra nulla con la chiusura

E mica la colpa è stato di Covid e lockdown. «Macché - ribatte Martin, 64 anni - con coprifuoco intendo dire che non c’è più nessuno in giro dopo una certa ora. Le persone vanno a bersi lo spritz alle 18/19 e poi tornano a casa, accendono il clima e non si muovono più. L’ha mai visto il centro durante la settimana?». Certo. «Ecco, alle 9 di sera quasi non c’è più nessuno e lo so bene io che vendo castagne».

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(Già, un’altra storia questa) «Una volta, invece, era diverso». Altri tempi, altri epoche. Senza social, senza smartphone, senza internet e senza cellulari. «Mi ricordo che alla fine degli anni Ottanta, quando io e mia moglie eravamo ancora morosi, lavoravamo in 5-6 all’anguriara. La gente aspettava il suo posto e alle 2 di notte dovevamo domandare se per piacere potevano alzarsi». Erano i tempi in cui passavano di lì non solo i residenti del quartiere di San Francesco, di Saviabona o della Caienna. «Macché - continua - venivano qui un po’ da ovunque». Anche personaggi noti come «Paolo Rossi o anche il gruppo Nuovi Angeli».

Gli anni '80, età dell'oro delle anguriare

All’epoca le angurie andavano via come caramelle. «Era davvero una cosa incredibile. Le anguriare una volta erano l’unica attrazione dell’estate; la gente non aveva il climatizzatore e la sera partiva con le famiglie per venire a mangiare una fetta di anguria. Negli anni ’80 e ’90 facevamo fuori circa 7-8 quintali al giorno». Impossibile non chiedere il segreto di quella macchina “sforna” cocomeri. Intrattenimenti, musica, cabaret? «Macché, niente, anche perché avevamo le case vicino. Da noi si trovava anguria e calma». Calma? «Sì, calma. Tranquillità, condivisione. C’era chi decideva di mangiarla lì e chi se la portava via». E dire che quella di viale Fiume era una delle tante anguriare della città. «Poi siamo rimasti solo noi. Pensavamo di fare strike, e invece è stata molto dura e abbiamo deciso di chiudere».

Restano solo i disegni di un'attività che fu

Senza alcun passaggio, senza alcun ripensamento, senza possibilità di far ripartire quel locale che ancora oggi, come si vede dalle foto, porta i segni del suo passato. «Il terreno è di proprietà. Ricordo che l’ha acquistato mio suocero nel 1963 dal prete quando decise, appunto, di aprire l’anguriara posizionando una specie di tettoia con canne vere e qualche panchina». Ora quello spiazzo è deserto. Resta l’immobile con il disegno di una grande anguria, la siepe, e una pianta capace di regolare il dono più prezioso dell’estate (l’ombra) e molta nostalgia.

«Non abbiamo pensato di cedere l’attività; magari poi arriva qualcuno che ti rovina il nome. Probabilmente venderemo l’area». Sa che molti in quartiere e non solo ci sono rimasti male quando hanno scoperto della chiusura? «Sì, lo so eravamo un punto di riferimento. Qualcuno si è messo pure a piangere. Ma no more mia nissun». E che consiglio dà a chi volesse ancora trovare ristoro in città mangiando un’anguria all’aperto? «Beh. Poe ’ndarla tore al marcà, mettare un tavolin sotto a pianta e magnarla».

Nicola Negrin

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