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Il processo

Il geologo: «Pfas, ci vorranno 500 anni per far tornare la falda potabile»

Ieri la conferma in tribunale da parte del consulente tecnico dei gestori idrici, in base alla valutazione dei dati forniti dall'Arpav

«Quanto tempo occorrerebbe all'acqua di falda per tornare come era prima, quindi potabile, se per "magia" cessasse oggi la contaminazione (tutt'ora in corso) da sostanze perfluoroalchiliche? Più di 500 anni. Lo dicono i dati di Arpav». Lo ha affermato ieri il geologo Pierluigi Bullo, in Corte d'Assise a Vicenza, dove si sta svolgendo il processo che vede imputati 15 manager di Miteni, Icig e Mitsubishi Corporation, accusati a vario titolo di avvelenamento delle acque, disastro ambientale innominato, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari.

Il consulente: «Danni in un'area di 150km quadrati»

Il professionista è stato chiamato a testimoniare in qualità di consulente tecnico per i gestori idrici Acque del Chiampo, Viacqua, Acquevenete e Acque Veronesi costituitesi parti civili.Rispondendo alle domande dell'avvocato Tonellotto ha anche individuato in «150 chilometri quadrati, ricadenti nei territori delle province di Vicenza, Padova e Verona, l'estensione della falda, una delle più grandi d'Europa il cui volume è stimato in 100 milioni di metri cubi d'acqua». E ha anche parlato della velocità con cui si muovono le molecole inquinanti in falda. «La velocità media per il primo tratto è 3 metri al giorno; a valle di Montecchio la velocità si dimezza».

Lo scontro tra accusa e difesa in tribunale

È poi seguita la testimonianza del prof. Antonio Marcomini, ordinario di chimica all'Università di Padova. Sentito dall'avvocato Merlin, ha elencato la capacità produttiva annua di Pfas da parte di Miteni: «Negli anni '70 era di 12 tonnellate, a partire dal 2001 al 2013 è salita in media a 400 tonnellate l'anno. A fine anni '90 negli Stati Uniti è stato deciso di interrompere la produzione di Pfas a catena lunga». Da segnalare uno "scontro" tra parte civile e difesa, incentrato sul fatto se Miteni avesse comunicato, nelle sue richieste di autorizzazione agli scarichi reflui, la presenza di Pfas. Per le difese sì: «Non solo sono stati indicati tensioattivi e i Pfas sono tensioattivi, inoltre è stata accolta una richiesta di Miteni di innalzare il limite dei tensioattivi da 20 a 25 milioni di nanogrammi/litro».

L'accusa ha chiesto di riformulare le accuse per evitare la prescrizione

Per la parte civile no, «in quanto i tensioattivi per essere tali devono essere degradabili, ed i Pfas non lo sono tanto da essere definiti "eterni"». Le difese hanno anche sottolineato che lo studio realizzato dai due consulenti non ha riguardato il sito dell'industria chimica, e quindi «non ha analizzato quando è stato contaminato il terreno Miteni che inquina la falda».Proprio la persistenza dei Pfas ha portato ieri i legali delle società idriche a chiedere alla procura di rivedere il capo d'imputazione per scongiurare prescrizioni. «I fatti reato oggetto delle imputazioni - ha detto Tonellotto - nel processo, benché contestati fino al 2013 e al 2018, hanno invece le caratteristiche della permanenza perché l'inquinamento, l'avvelenamento delle acque e il disastro ambientale sono fatti che non si possono considerare esauriti. Ne abbiamo avuto ulteriore conferma dalle deposizioni odierne. Si delinea pertanto un quadro, maturato nel corso dell'istruttoria e chiaramente non conosciuto al momento della formulazione delle imputazioni». Infine la testimonianza dell'ex sindaco di Lonigo, Luca Restello, per riassumere le spese sostenute dal Comune: solo quelle vive sono di circa 12 mila euro.

Giorgio Zordan

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