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Vicenza

Un ricovero ogni ora, tutti non vaccinati. «Di nuovo in guerra»

«Siamo di nuovo in guerra». Il primario di malattie infettive del San Bortolo Vinicio Manfrin dice che la tregua è veramente finita. Sono passate poche ore e lo scenario in ospedale è sostanzialmente mutato. In peggio. I timori dei giorni scorsi si stanno dimostrando fondati. Fra sabato pomeriggio e ieri mattina sono entrati 8 pazienti. E per il primario Manfrin, eternamente sulle barricate, è stata una domenica di fuoco alle prese con i malati in arrivo e le infusioni di anticorpi monoclonali da effettuare per evitare che alcuni di loro con l’infezione addosso, ma scoperta precocemente, finiscano sotto la maschera ad ossigeno. 

«Sono tutti non vaccinati». Nessun anziano. Persone di età media, fra i 50 e i 60 anni. Ma c’è anche un giovane vicentino, di 32 anni. È iniziata, dunque, la mobilitazione dei reparti front line. Manfrin sta liberando il maggior numero possibile di letti trasferendo pazienti non-Covid in altre aree dell’ospedale per avere letti a disposizione.

«Avevo tenuto liberi per il Covid 10 posti, ma si sono riempiti in fretta». Così è scattato anche il piano di riapertura dei posti-Covid di pneumologia che, in questo momento, registra due ricoveri.

Lo scorso anno la terza ondata iniziava con l’imprenditore di Sossano titolare di un’azienda a Pojana che si era contagiato in un avventuroso viaggio fra Serbia e Bosnia. Ora la quarta stagione dei ricoveri parte con focolai ancora più subdoli e diffusi anche se la vaccinazione ha creato una sorta di cortina di ferro fra vaccinati e no-vax. Da qui la decisione di “requisire” in pneumologia per questo fine settimana 4 posti su 12. E due si sono subito occupati. Ci sono una donna di 52 anni, arrivata dalla rianimazione in condizioni stazionarie, e un uomo di 73, giunto dai letti degli infettivologi aggravatosi improvvisamente per il fatto che il Covid si è innestato su un organismo debilitato da altre patologie e ha bisogno di ventilazione più massiccia. Anche loro non vaccinati. 

Con la variante Delta il rischio del contagio è altissimo. Il ceppo importato dall’India non perdona quando non trova difese. «Se non ci fosse stata la vaccinazione – spiega Manfrin – avremmo già geriatria e medicina strapiene come nella terza ondata. Anche Santorso la scorsa notte ha avuto 4 ricoveri. È tutta la provincia coinvolta da questa nuova fase della pandemia». Sale la paura. Si riattrezzano le trincee. Aumentano i ricoveri. Ma i no-vax non demordono. Nessun pentito fra coloro che, pure in condizioni critiche, lottano contro una malattia che finora nel Vicentino ha ucciso 2.124 persone, che colpisce non solo i polmoni, il bersaglio nel quale il virus entra attraverso la proteina Spike, ma, secondo gli ultimi dati scientifici, ferisce anche cuore e cervello, con sequele della malattia nel lungo periodo anche in pazienti a suo tempo paucisintomatici o asintomatici. C’è fra i ricoverati in ospedale chi, mentre è costretto a pompare ossigeno per superare il pesante deficit respiratorio, «continua a pensare di aver fatto bene a non vaccinarsi».

Il primario Manfrin, uno degli eroi umili e silenziosi di questa lotta contro la maledizione virale che non si stanca di tormentare il mondo da 17 lunghissimi mesi, non nasconde lo sconcerto: «È davvero deprimente che si continui a parlare in questo modo quando si sa che con il vaccino tutto questo si sarebbe potuto evitare. Prevale la cattiva informazione. Difficile capire cosa possa passare per la loro mente. Poi è anche vero che, quando si è ricoverati in queste condizioni, non si è lucidi. La cosa più importante è farli uscire dalla fase acuta per vedere cosa diranno poi e cercare di convincerli. Speriamo che si ravvedano». 

Per il reparto di malattie infettive è di nuovo emergenza. Dieci posti su 19 già riservati ai pazienti-Covid, ma non è semplice perché nel ramo non-Covid ci sono persone che hanno tbc e meningiti ed è difficile trasferirli in altri reparti. Manfrin, nelle altre ondate, ha potuto fruire, in un altro piano della palazzina degli infettivologi, di altri 19 posti, quelli dell’ex hospice, ma oggi la struttura è un cantiere aperto proprio per farla diventare una terapia semi-intensiva a tutti gli effetti, e prima di metà settembre non sarà possibile disporne.

Franco Pepe

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