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«Il mio Nicolò ha continuato ad aiutare tutti»

Un’immagine felice di Nicolò Celi, con la giacca blu, tra papà Roberto e mamma Barbara, e del fratello
Un’immagine felice di Nicolò Celi, con la giacca blu, tra papà Roberto e mamma Barbara, e del fratello
Un’immagine felice di Nicolò Celi, con la giacca blu, tra papà Roberto e mamma Barbara, e del fratello
Un’immagine felice di Nicolò Celi, con la giacca blu, tra papà Roberto e mamma Barbara, e del fratello

«Mamma, questo pomeriggio devo vedere Sofia: le voglio dire una cosa» Quella cosa, secondo mamma Barbara, era che suo figlio si era innamorato di quell’amica speciale. Ma martedì scorso la vita di Nicolò Celi, 15 anni, promessa del ciclismo, si è sospesa nel tragico incidente di Colceresa, e l’altra sera si è spezzata, senza dargli la possibilità della sua prima dichiarazione d’amore. E la coetanea, conosciuta qualche mese fa sui banchi di scuola e rivista a tifare nelle sue gare ciclistiche, l’altro ieri ha chiamato la mamma di Nicolò e le ha confessato: «Ci dovevamo vedere, gli volevo dire a mia volta che gli voglio bene». Mamma Barbara Ghirardello ricorda il suo Nicolò come un adolescente che si stava aprendo alla vita. Gli ha parlato anche quando lui era in coma in ospedale, e gli ha svelato anche questo piccolo segreto. «Rideva sempre - racconta ora - era buono, aiutava tutti ma non lo diceva a nessuno. Quando a casa sentiva tensioni, se io e suo fratello maggiore discutevamo, anche solo per bisticci semplici legati all’adolescenza, Nicolò si arrabbiava: non voleva che ci fossero attriti tra le persone a cui voleva bene. Mi sgridava quando piangevo, forse è per questo che adesso riesco ad essere così forte, mi sembra di sentire che mi dice: “Mamma, non ti metterai mica a piangere perché non ci sono più?”. Allora mi faccio forza. E ricordo quando mi sgridava se mi vestivo di nero o non mi truccavo». Nicolò era competitivo sì, ma solo in gara, con tanta voglia di vincere e poi di scambiare pacche sulle spalle con gli avversari. Anche a scuola era stato bravo: «Aveva tre materie sotto - spiega Barbara -. Voleva che gli mettessimo a posto il motorino, gli abbiamo detto che con tre insufficienze non se ne parlava. Lui le ha recuperate tutte in pochissimo tempo». Martedì scorso, quando il ragazzo sul suo scooter ha centrato un’auto ed è stato sbalzato sull’asfalto, a Colceresa, mentre tornava da scuola, la mamma è stata tra le prime ad arrivare: «Lavoro poco distante - ricorda - sono corsa, l’ho trovato a terra, supino, in un lago di sangue. Gli ho dato un impercettibile colpetto, come una finta sculacciata: volevo che mi sentisse, che pensasse che tutto sarebbe andato bene. Lui ha mosso le labbra, ha emesso un gemito, credo abbia detto “Mamma”, poi l’hanno caricato in ambulanza». La mamma gli è stata accanto anche durante il volo in elisoccorso fino all’ospedale di Vicenza. Poi l’intervento chirurgico disperato. «Gli operatori e medici del reparto sono stati incredibili - continua Barbara -. Non ci hanno mai lasciati, hanno fatto l’impossibile». Nicolò ha donato le cornee, il fegato, i polmoni, i reni, il pancreas. L’altra notte, subito dopo la dichiarazione ufficiale di morte, l’equipe del San Bortolo ha espiantato i suoi organi, su consenso dei genitori. «È bello pensare che abbia salvato altre vite». I funerali si celebreranno probabilmente lunedì o martedì. Numerosissime le testimonianze di vicinanza alla famiglia dal mondo del ciclismo. «Mio figlio aveva un idolo, il suo allenatore Gianni Comacchio - racconta ancora Barbara -. Non faceva nulla se prima non gli aveva chiesto consiglio». Adesso tutto si è infranto: «Non ho idea di come supereremo questa tragedia. Abbiamo un altro figlio, dobbiamo essere coraggiosi anche per lui, ma questo dolore non passerà mai». •

Francesca Cavedagna

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