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L'emergenza

Epidemia di aviaria nell'Area Berica: allarme per tre focolai, morti 50 mila tacchini

Influenza aviaria: l’epizoozia scatenatasi nel Veronese ha ora raggiunto anche il Basso Vicentino
Influenza aviaria: l’epizoozia scatenatasi nel Veronese ha ora raggiunto anche il Basso Vicentino
Influenza aviaria: l’epizoozia scatenatasi nel Veronese ha ora raggiunto anche il Basso Vicentino
Influenza aviaria: l’epizoozia scatenatasi nel Veronese ha ora raggiunto anche il Basso Vicentino

«È successo tutto in 48 ore. Prima il contagio, poi la morte. Avevo 34 mila capi, per lo più tacchini, ma anche polli. Tutti morti o abbattuti. Non c’è niente da fare, quando entra è un disastro». Purtroppo, è entrata. L’influenza aviaria ha contagiato il suo allevamento di Albettone e lui, Paolo Zattarin, lo racconta con lucida rassegnazione. «Speravo che ci risparmiasse, dopo aver colpito forte nel Veronese, ma non è stato così». Quello di Zattarin è stato un risveglio traumatico, ma ora non dormono sonni tranquilli nemmeno tutti i suoi colleghi avicoltori del Basso Vicentino che si trovano a fare i conti con l’epizoozia, l’epidemia negli animali. «Sono almeno tre i focolai di aviaria individuati nell’Area Berica», conferma Ezio Berti, presidente dell’Associazione veneta avicoltori, «uno ad Albettone, il maggiore, gli altri a Villaga e a Noventa». Trentaquattromila capi nel primo, «quindicimila tacchini nel secondo», un numero «da quantificare di galline ovaiole nel terzo». Un’emergenza sanitaria, con l’Ulss 8 attivata e già in campo con le sue squadre specializzate per fronteggiarla a suon di controlli e tamponi, ma anche economica, con «danni per ora misurabili in alcune centinaia di migliaia di euro nel Vicentino, ma già milionari in Veneto, in particolare nel Veronese, dove i focolai sono in tutto 140».

Il primo caso di aviaria, importato dal Nord Europa dagli uccelli che in autunno migrano verso i Paesi più caldi, era stato rilevato il 19 ottobre in un allevamento in terra scaligera. L’epizoozia si era poi estesa a macchia d’olio in quella provincia, fino a propagarsi nella Bassa Padovana. Ora, l’ingresso nel Vicentino. Per gli avicoltori è un incubo. La loro attività si fonda infatti su contratti di soccida: polli e tacchini sono di proprietà delle aziende agroindustriali che li affidano agli avicoltori i quali li allevano fino al momento della macellazione. «In capo all’avicoltore - spiega Berti - ci sono le spese di allevamento, dal gas per riscaldare gli ambienti all’energia elettrica fino all’acqua, mentre l’azienda agroindustriale fornisce, oltre al pulcino, il mangime e il servizio veterinario». A fine ciclo, si distribuiscono i ricavi. Ma se, come in questo caso, il ciclo non si completa, per l’avicoltore restano le spese sostenute senza i ricavi. «È qui che scatta il sistema dei rimborsi - prosegue il presidente dell’associazione avicoltori -, quelli per i danni diretti sono erogati spesso in 90 giorni, ma quelli indiretti legati al “fermo sanitario” dell’allevamento arrivano dall’Europa e dallo Stato in 2-3 anni. C’è un problema di liquidità evidente per gli allevatori».

La questione tocca in modo diretto l’economia del Veneto, visto che «qui si concentra il 40 per cento della produzione avicola nazionale». Ma adesso c’è anche un problema di gestione sanitaria, a partire dallo smaltimento delle carcasse «che avviene in impianti appositi che producono anche energia». Per quanto riguarda i rischi per l’uomo, il presidente dell’Associazione avicoltori rassicura: «Il sistema prevede che i capi portati a macellazione siano prima sottoposti a tampone: se dovesse risultare positivo, il capo viene abbattuto. I controlli sono molto rigorosi per evidenti motivi sanitari e perché non ci si può permettere di infettare i macelli, altrimenti si blocca la filiera». E se un capo infetto dovesse sfuggire ai controlli? «Parliamo di pollo e tacchini, cioè di carne che qui da noi viene sempre cotta: per l’uomo non c’è alcun rischio, in ogni caso». 

Marco Scorzato

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