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PERCHÉ TRUMP RIMANE IN SELLA

Il Campidoglio a Washington, fotografato la mattina dopo la diffusione dei risultati delle ultime elezioni di Midterm. Alla Camera i democratici hanno conquistato la maggioranza, mentre al Senato hanno vinto i repubblicani. ANSA/AP/J. SCOTT APPLEWHITEDonald Trump non è uscito male dalle elezioni di Midterm
Il Campidoglio a Washington, fotografato la mattina dopo la diffusione dei risultati delle ultime elezioni di Midterm. Alla Camera i democratici hanno conquistato la maggioranza, mentre al Senato hanno vinto i repubblicani. ANSA/AP/J. SCOTT APPLEWHITEDonald Trump non è uscito male dalle elezioni di Midterm
Il Campidoglio a Washington, fotografato la mattina dopo la diffusione dei risultati delle ultime elezioni di Midterm. Alla Camera i democratici hanno conquistato la maggioranza, mentre al Senato hanno vinto i repubblicani. ANSA/AP/J. SCOTT APPLEWHITEDonald Trump non è uscito male dalle elezioni di Midterm
Il Campidoglio a Washington, fotografato la mattina dopo la diffusione dei risultati delle ultime elezioni di Midterm. Alla Camera i democratici hanno conquistato la maggioranza, mentre al Senato hanno vinto i repubblicani. ANSA/AP/J. SCOTT APPLEWHITEDonald Trump non è uscito male dalle elezioni di Midterm

L’America è divisa, dicono tutti all’indomani delle elezioni di Midterm. Ma l’America, politicamente, è stata sempre divisa. Vogliamo ricordare gli anni di Ronald Reagan, uno dei più grandi presidenti, come riconoscono a distanza di decenni anche molti esponenti del partito democratici, della storia? La sua politica di destra, liberista e liberale in economia e muscolare nei confronti del resto del mondo (la spallata decisiva per la caduta del muro di Berlino fu la sua), lo trasformò nel bersaglio di tutti gli avversari. Gli Stati Uniti sembravano divisi come non mai, ma nessuno si accorgeva che non era minimamente messa in discussione le legittimità del presidente di perseguire il programma per il quale era stato eletto due volte con maggioranze bibliche. O vogliamo ricordare, per non andare troppo lontani, Barack Obama? Amato e adorato dagli stessi che qualche decennio prima odiavano e combattevano Reagan, il primo presidente di colore della storia degli Stati Uniti ha finito col lasciare indietro quell’America lontana dai riflettori, quella che vive nel mezzo, tra i campi di grano dell’Iowa e gli allevamenti del Wyoming. America divisa, appunto, ora come allora. Come sempre. Eppure con Donald Trump è diverso. Perché si è rotta la tradizionale contrapposizione tra repubblicani e democratici. Non sono i repubblicani che hanno prodotto Trump, è Trump che si è preso i repubblicani. Piegandoli a una politica che piace alla gente che non piace. Gli americani che vivono lontani da New York e da Los Angeles. Che temono l’immigrazione, storicamente la risorsa più importante che ha fatto degli Stati Uniti il Paese numero uno al mondo. L’agenda di questo «cialtrone incompetente», è il parere dei nemici liberal, o di questo «geniale comunicatore», è l’opinione dei fan, alla fine non è stata spazzata via dalle ultime elezioni. È vero che i democratici si sono ripresi la Camera, equilibrando quindi i poteri e contrastando le mire assolutistiche dell’inquilino della Casa Bianca, ma è anche vero che Trump, più che i repubblicani, ha piantato le sue bandierine decisive al Senato. Non solo, alla Camera il successo dei democratici, quasi tradizionale per il partito opposto a quello del presidente dopo i primi due anni di mandato, è stato in proporzione inferiore a quello ottenuto dai repubblicani dopo i primi due anni di Obama. E se è vero, come è vero, che Obama è stato rieletto in carrozza dopo quei risultati, la sensazione è che Trump avrà tra due anni ancor meno problemi per ottenere il secondo mandato. Ci sono due lezioni che si possono trarre da questa distanza, diciamo così, tra i giudizi negativi che la stragrande maggioranza dei giornali e delle tv negli Stati Uniti dà di Trump e tra quelli positivi che invece arriva dal responso delle urne. La prima lezione è che tutti i commentatori, o quasi, vivono in aree metropolitane e hanno dell’America un’idea radicata nei valori dell’apertura e della condivisione. Peraltro sono i valori che stanno alla base di un Paese il quale però, nel corso di questi ultimi 10-12 anni, quelli della più grande crisi, ha lasciato indietro gli i più deboli, quelli che lavorano in fabbrica, quelli che sono nei campi, quelli che vivono in città piccole e sconosciute ai più. Trump ha conquistato la loro pancia e l’idillio pare appena cominciato. Dall’altra parte resta però da capire se la più grande democrazia del mondo sia retta da un sistema che effettivamente garantisca alla maggioranza di essere rappresentata adeguatamente. Il Congresso in questo momento è spaccato tra un Senato che ospita due rappresentanti per stato, a prescindere dal numero degli abitanti (il Wyoming, come ricordava Paul Krugman sul New York Times, ha 600 mila abitanti e ha gli stessi rappresentanti al senato della California che di abitanti ne ha 40 milioni), e la Camera che invece rispecchia più fedelmente le proporzioni popolari. Trump ha fatto bene i suoi conti. I democratici sembrano aver smarrito la bussola. E la calcolatrice. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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