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Barolini,
le mie prigioni

Una foto dello scrittore e giornalista Antonio Barolini negli anni Sessanta
Una foto dello scrittore e giornalista Antonio Barolini negli anni Sessanta
Una foto dello scrittore e giornalista Antonio Barolini negli anni Sessanta
Una foto dello scrittore e giornalista Antonio Barolini negli anni Sessanta

Antonio Trentin

Quando il regime mussoliniano fu rovesciato, il 25 luglio 1943, la stampa delle italiche periferie passò in 72 ore dai fervori reverenziali verso il Duce all'improvvisa libertà (o quasi) di scrittura e di opinione, non più praticata da vent'anni. Nella redazione di contrà San Marco la “Vedetta fascista” diventò “Il Giornale di Vicenza”: una testata destinata a durare per i 45 giorni del governo Badoglio e a diventare “Il popolo vicentino” in ottobre, sotto la neonata repubblica di Salò tutelata dai nazisti.

Il direttore della breve estate post-fascista non era un giornalista, ma un poeta che di mestiere faceva il bancario alla Cattolica di Santa Corona: Antonio Barolini, 33 anni, simpatizzante ma non militante del Partito d'Azione clandestino, amico fraterno del quasi coetaneo Antonio Giuriolo - uno dei pochi oppositori vicentini noti e manifesti - e come lui da anni in contatto, in giro per l'Italia, con letterati che erano stati avversari silenti della dittatura.

Barolini era amico anche di Neri Pozza, capofila anni prima di un paio di piccole imprese editorali che gli avevano stampato le prime opere. Era stato scelto come direttore proprio per queste cose: perché scriveva bene e perché era stato, per quanto gli riusciva, un antifascista. Dopo l'8 settembre sarebbe finito sotto processo per gli articoli sul “Giornale di Vicenza”: 15 anni la condanna inflittagli dal Tribunale speciale fascista, in contumacia perché era riuscito a nascondersi a Venezia.

Riassunse l'anno e mezzo di circospetta autosegregazione in precarie stanze sotto le altane lagunari nella "cronistoria" - come la chiamò chiudendola nell'estate 1945 - ritrovata dalle figlie Teodolinda e Susanna. Trascritta a dispetto di una pessima grafia, è ora valorizzata in apertura dell'importante volume che la richiama nel titolo: “Antonio Barolini. Cronistoria di un'anima” (Società editrice fiorentina, 337 pagine, 24 euro).

Il “Diario di prigionia - Venezia” - inedito come alcune lettere a Aldo Capitini, uno degli ispiratori del Partito d'Azione e poi per vent'anni 'apostolo della nonviolenza', e una commemorazione di Giuriolo del 1966, cose entrambe curate da Adriana Chemello nel nuovo libro - è messo in apertura di una corposa serie di altri commenti, studi e saggi da tempo in attesa di pubblicazione.

Sono gli atti dei due convegni che si svolsero nel 2010 a New York e a Vicenza nel centenario della nascita. Il primo era stato promosso dall'Italian Poetry Review, rivista collegata alla Columbia University nuovaiorchese dove insegna Teodolinda Barolini. Il secondo dall'Accademia Olimpica: il segretario di quest'ultima, fattasi coeditrice, Mariano Nardello, ricorda oggi nella prefazione il lavoro di Fernando Bandini per quell'appuntamento vicentino e il debito che l'Accademia aveva da cinque anni verso di lui e verso Barolini.

Gli autografi baroliniani raccontano non poco della sua faticosa psicologia di braccato a Venezia, tradotta letterariamente nelle “Notti della paura” (1966). E di più ne dirà, prossimamente, la pubblicazione dell'intero suo diario del tempo di guerra a cura ancora della figlia Teodolinda e dell'Istrevi.

Gli atti raccontano lo scrittore vicentino nel suo divenire letterario. Fanno da base all'analisi le carte conservate in Bertoliana e descritte da Adele Scarpari. Le interpretazioni di Barolini scrittore, poeta e giornalista tra l'Italia e New York - e della sua complessa sensibilità di cattolico politicamente moderato e religiosamente inquieto - erano state firmate, nel 2010, da Monica Giachino, Andrea Sartori, Michela Rusi, Giovanni Salviati, Maria Luisa Ardizzone, Paolo Valesio e Nicola Di Nino.

Sotto la definizione che aveva dato il titolo al convegno americano, è pubblicata infine un'efficace lettera della moglie Helen sul consorte, romanziere apprezzato dalla critica (vincitore dei premi Bagutta e Prato, finalista a Campiello e Strega) ma soprattutto delicato spirito di “poeta sperso tra gli uomini”.

MARTELLETTON

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