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La spunta blu

Il biopassaporto

La locandina del film "Bladerunner"
La locandina del film "Bladerunner"
La locandina del film "Bladerunner"
La locandina del film "Bladerunner"

“Ho fatto cose discutibili... Cose per cui il dio della biomeccanica non mi farebbe entrare in paradiso” (Roy Batty, “Bladerunner”)

E dunque ci siamo, domani è il gran giorno, il “V-day”. Dove la “V” non sta per “vaffa”, come il giorno da cui ebbe origine il Movimento Cinque stelle e, per una certa qual proprietà transitiva, diremmo anche questo governo. Qui la “V” sta per “vaccino”, perché domani saranno iniettate le prime fiale dello scudo anticovid nelle vene di qualche migliaio di italiani. A pensarci bene è un buffo gioco del destino che il fiammifero della più vasta vaccinazione di massa dal dopoguerra sia rimasto tra le dita di un partito che ha flirtato a lungo e con reciproca soddisfazione con i No vax, candidandone un discreto numero in parlamento, ma anche con terrapiattisti, cospirazionisti e avvistatori di scie chimiche. Una legge del contrappasso con i fiocchi, in cui rischiamo di restare invischiati noi tutti se il governo non riuscirà a liberarsi da certi ambigui silenzi. Il neoeletto presidente americano Joe Biden si è fatto vaccinare a reti unificate. È stato il suo atto politico più potente e scenografico: e fin qui di atti politici per marcare la differenza da Donald Trump non ne ha risparmiati. Sapranno farlo anche “Giuseppi” Conte e i suoi ministri e sottosegretari grillini per convincere quell’italiano su quattro che si dichiara scettico se non proprio contrario?
Eppure non c’è solo la campagna vaccinale, che già sarebbe una dura battaglia da combattere. Dal governo e dal parlamento ci aspetteremmo anche quello che potremmo chiamare “manuale di istruzioni” per la vaccinazione. Provo a spiegarla meglio. Ci è stato detto in vari modi che il vaccino non sarà obbligatorio, che nessuno verrà a prelevarci da casa nostra nottetempo, per trasferirci bendati e incappucciati a bordo di furgoni arrugginiti in uno scantinato male illuminato e peggio riscaldato dove essere siringati con le buone o con le cattive. E dunque? Se non è un obbligo, sarà una raccomandazione? Qualcosa di simile a quelle righe scritte nei decreti in cui si diceva che i negozi sono aperti, potete andarci, anzi, quasi quasi ci dovete andare per risollevare l’economia reale, sì, avanti popolo, ma non tutti insieme? Abbiamo visto che fine hanno fatto quelle raccomandazioni: stampate a colori con le foto della calca nelle piazze per gli acquisti di Natale. Quello che finora nessuno dice, ma che tutti pensano è che non sarà obbligatorio vaccinarsi, ma senza vaccino non faremo molta strada. In questi mesi è diventata prassi la misurazione della temperatura prima di entrare al lavoro, a scuola o in un qualsiasi luogo pubblico. Abbiamo accettato che una temperatura normale sia la prima forma di agibilità sociale durante la pandemia. Non sempre basta. Spesso ci viene richiesto di esibire un certificato che attesti l’esito negativo del tampone: quel foglio di carta ci è servito per viaggiare o per partecipare a eventi per quanto in forma ridotta. Non si ricordano proteste in piazza, ma senza che ce ne accorgessimo abbiamo introdotto e accettato una forma di classificazione sociale sulla base dello stato di salute. Il mondo ha iniziato a etichettare per distinguere tra sani e malati, tra immuni e contagiosi. Di passaggio, andrebbe anche detto che per più di un addetto ai lavori questa etichettatura sarebbe dovuta essere più spregiudicata, più intensa e profonda, arrivando a sospendere la privacy per tracciare ogni accenno di diffusione del contagio: è nota a tutti la parabola inutile e sfortunata della app Immuni, è nota soprattutto la curva della seconda ondata. 
Non era mai accaduto prima nelle democrazie occidentali. Negli anni Novanta fu girato un film di grande successo come “Philadelphia” per denunciare una forma di discriminazione basata su una malattia (l’Aids) innescata da un virus (l’Hiv): vi ricorda qualcosa? Attenzione, spoiler: quella discriminazione nel film viene demolita nell’aula del tribunale. Eppure non sembrano esserci vie d’uscita: se il vaccino è l’unica luce in fondo al tunnel, si profila una divisione tra vaccinati e non vaccinati. È probabile che ci sarà richiesto il certificato di avvenuta vaccinazione per andare allo stadio o a teatro, per praticare sport agonistico (dalle palestre alle piscine), per svolgere alcuni lavori, per organizzare eventi con molti invitati (matrimoni, feste in discoteca, concerti, festival), ma soprattutto per viaggiare. Accanto ai documenti, ci sarà chiesto il nostro biopassaporto, senza il quale la nostra sarà una condizione di semilibertà a corto raggio, perché è altamente probabile che le frontiere torneranno a schiudersi solo per chi è in grado di dimostrare di essere in salute e di non essere contagioso. Né è una prospettiva remota che la polizia doganale venga incaricata di controllare non soltanto il nostro profilo penale, ma anche il nostro quadro sanitario: dovranno intercettare i non vaccinati, proprio come Harrison Ford nei panni di Rick Deckard scova gli androidi in Bladerunner. Ecco perché serve un “manuale di istruzioni” da parte di governo e parlamento: primo, per non lasciare alle sole organizzazioni private la gestione dei nostri spostamenti pubblici; secondo, per dare indicazioni chiare a chi viaggia per lavoro, studio o piacere. La pandemia del 2020 è una cesura nella storia dell’umanità, così come è stata una cesura l’attentato alle Torri gemelle: da allora viaggiamo in modo diverso, veniamo sottoposti a controlli che prima non c’erano. Dopo il covid potrebbe accadere qualcosa di simile: non basterà il vecchio passaporto, ci servirà anche il biopassaporto.
gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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Questo è il commento di Michela Paganin:
"Ho letto con un certo interesse il Suo articolo sull’argomento “il biopassaporto” post Covid "Vax-day”(preferisco usare la parola Vax per differenziarlo dal V-day, altra grande truffa subita dagli italiani in questi ultimi anni). Bellissimo il richiamo al film “Bladerunner”, un po’ per dare un aspetto surreale a tutta questa vicenda, ma vorrei ricordarle che la vita di ogni giorno non è un set hollywoodiano e desidererei che, per almeno una volta, qualcuno affrontasse questo argomento con serietà, cioè da vero giornalista capace di metterci la faccia, scrivendo un articolo dopo un’attenta documentazione. L’argomento vaccinazione non è solo essere favorevoli o contrari, non è solo libertà di muoversi, di viaggiare e soprattutto di lavorare e andare a scuola, c’è in ballo la salute delle persone. In questo ultimo anno fatto di stranezze e di scelte logiche e illogiche ho chiesto il parere a molte persone sull’argomento vaccinazione, gente normale, medici e anche a giovani freschi di laurea ad indirizzo scientifico, posso dirle che molti  di loro hanno espresso perplessità, il 25% ( forse anche di più) della popolazione che è restia a questa scelta non è fatta solo da negazionisti, terrapiattisti o complottisti, ignorantoni da bar e spritz, ma in mezzo a quel mucchio c’è gente che ha una notevole formazione scientifica alle spalle e si pone delle domande. Io non sono una giornalista, ma in questo ultimo periodo ho disprezzato moltissimo la categoria (non che l’abbia mai tanto amata), ma per favore, per una volta soltanto, vorrei vedere un confronto costruttivo, non solo un articolo 
tipo: “Vaccino, le FAQ dell'Aifa”, trovate degli esperti in materia che siano pro e contro al vaccino e alle vaccinazioni in generale, organizzate un meeting online nel quale ci sia un confronto sano fatto su dati concreti , questo potrebbe fare la differenza per il GdV e per le persone, che come me, lo seguirebbero.
Rileggendo il testo che ho scritto mi rendo conto che quello che ho proposto è fantascientifico come sarebbe ancor più fantascientifico che venisse preso in considerazione, ma come si dice: ”La speranza è l’ultima a morire”.
Michela Paganin

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E questa è la mia risposta:

Gentile Michela, la ringrazio per accolto il mio invito al dialogo senza alzare la voce e senza offese. Il suo commento mi aiuta a chiarire il mio post. Dico subito che non sono contrario ai vaccini, tutt'altro: credo che abbiano fatto fare passi in avanti nella storia dell'umanità. E dopo dieci mesi, dopo la prima e soprattutto la seconda drammatica ondata di contagi, non vedo molte altre vie d'uscita da questo tunnel. Ma non sono Candide, esercito la salutare arte del dubbio per professione e per attitudine, raramente mi capita di prendere qualcosa a scatola chiusa. Non farò eccezione nemmeno in questa circostanza e cercherò di fare tutti gli approfondimenti finché non sarà convinto oltre ogni ragionevole dubbio. E tuttavia tra un medico o un ricercatore farmaceutico e un idraulico, un panettiere, un meccanico, un ragioniere, un giornalista, in fatto di vaccini tendenzialmente mi fiderò sempre più del medico o del ricercatore. Quindi la mia opinione conta quasi zero. Conta però il lavoro che faccio e in questo prendo la sua sollecitazione come un impegno per cercare di offrire una buona e completa informazione nel giornale per il quale lavoro. Non sarà certo questo piccolo blog a persuadere chi nutre riserve rispetto alla campagna vaccinale che sta per iniziare. Qui, piuttosto, proviamo a osservare la realtà da prospettive diverse, a chiederci se quello che sta accadendo ha una sola chiave di lettura o ne ha molte. Il mio post scaturiva dall'urgenza di smascherare l'ipocrisia di fondo che sta accompagnando l'avvio della vaccinazione: da un lato ci viene garantito che non ci saranno obblighi, dall'altro dubito che senza vaccino potremo muoverci con la libertà che avevamo prima che tutto questo iniziasse, per le ragioni che ho già descritto. Spero di sbagliarmi, naturalmente, perché vorrei che diritti e libertà potessero essere esercitati fino in fondo e non restare sulla carta degli annunci.

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