<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
L’AUTORE. Dorina Tiso, segnalazione della biblioteca di Valdagno

Una vita condivisa

di Dorina Tiso

Dorina Tiso

L’arrivo dell'estate sarebbe stata come una folata di vento: il vento della calura, del sole, delle giornate libere. Un rincorrersi di sogni e di speranze in un tempo non più definito e programmato in orari prestabiliti ed imposti, ma ritagli di tempo spezzettati di vita, voli di farfalle, silenziosi, leggeri ed irrequieti. Almeno così credevo.

Aspettavo sfogliando il calendario ed evidenziavo gli spazi che sarebbero stati finalmente solo miei: giri in bicicletta, stare solo con me stesso, dormire fino a tardi, andare a letto a qualsiasi ora. Questa sì che sarebbe stata, per me, finalmente vita!

I miei sarebbero andati in Canada per due mesi dai parenti di mia madre ed io potevo restare a casa da solo e godermi per la prima volta una libertà incondizionata.

Però non stavo tenendo conto del fatto che ero un essere sociale, non asociale; che il genere di libertà che cercavo aveva il suo prezzo, il suo peso. Che il vuoto d'intorno sarebbe diventato, a volte, vuoto dell'anima, perché il silenzio avrebbe riempito l’anima, ma sarebbe stato un peso se non fosse stato arricchito dal pulsare della vita.

All’arrivo delle vacanze mi rinchiusi, così, nel mio bozzolo di sogni, scrivendo, disegnando, passeggiando da solo e il mio sentire si inaridiva nel grigiore della solitudine.

I momenti di riflessione, che avevo così amato e apprezzato durante le mie giornate piene di impegni, diventavano ora la mia vita e sfumavano nella nebbia di un'apatia che, crescendo, era diventata la nuova patina del mio essere.

Possibile che ora, che potevo fare tutto quello che desideravo, libero nel mio tempo, fossi così infelice?

La voglia di fare e la creatività, che avevano sempre contraddistinto le mie giornate, erano svanite nel nulla. Vagabondavo nel campo della mia vita come una talpa che muove di continuo la terra del suo piccolo giardino, ma non riuscivo a mettere fuori il muso per vedere la luce e i piccoli mucchi di terra, che lievitavano, parevano rincorrersi nel mio prato in sentimenti repressi, dove tutto sembrava immobile e freddo.

Mancava il confronto, mancavano le scintille che alimentano la vita nella vita. Ero sempre più solo.

Arrivai ad alzarmi a mezzogiorno e restare in pigiama senza cambiarmi per tutta la giornata.

Dopo due settimane mi ritrovai a mangiare solo cose in scatola e patatine. Rimanevo sempre seduto in poltrona, mezzo assonnato, davanti allo schermo acceso. Non avevo più entusiasmo per niente. Volevo scrivere, ma non riuscivo. Volevo disegnare, ma non c'è la facevo anche se mi ero considerato sempre un po' artista.

Prendevo il telecomando e cambiavo di canale in canale, sempre insoddisfatto. Giocavo a scacchi e a dama con il computer, ma alla fine mi sentivo spossato, scontento ed arrabbiato.

Dalla poltrona “esausto” scorgevo a volte lo zaino di scuola abbandonato in un angolo, subito dopo l’entrata. Lo guardavo desolato. A settembre avrei iniziato la quinta, l’anno della maturità. Ma ero maturo?

Ogni giorno ricevevo una telefonata dai miei, era una breve interruzione a quel totale isolamento in cui ero caduto.

«Che mi succede?» mi chiesi ad un certo punto spaventato: «È questa la mia estate? Devo incontrare qualche amico, altrimenti divento come uno zombi». Così, telefono alla mano, cercai un mio amico, uno fra i tanti.

«Sto facendo volontariato dagli anziani - mi disse - vuoi venire? Solo tre ore al giorno, luglio e o agosto, da martedì a venerdì, così abbiamo il weekend libero. Si portano a spasso i vecchi anche di sera e si rimboccano mentre mangiano. Non è così impegnativo come sembra, a volte gli orari variano, ma la sera, dopo le 8 si è sempre liberi».

«Va bene» gli risposi poco convinto.

Mi immersi così in un mondo dove il tempo a volte non esisteva. Dove un sorriso valeva più di mille parole. Dove il silenzio dell'anima viveva negli occhi assenti di chi si trovava in un'altra dimensione, fra risvegli improvvisi e partenze senza confini.

Ero giovane è pieno di vita, ma percepivo lo smarrimento e la paura nella mano tremante che mi stringeva appena.

Mi sentivo rinascere fuori e, per non morire dentro, facevo battute leggere per fare sorridere colorando l’aria di gioia, mentre la stretta di mano improvvisa mi ringraziava silenziosa nel suo freddo calore.

Ricordo spesso quella strana lunga estate ricca di frammenti di vita condivisa. Una grande magica bolla di sapone ricolma di arcobaleni dai colori indefiniti, che si frantumano ancora nei sentimenti trasparenti ed inafferrabili del mio cuore.

(da biblioteca di Valdagno)

Suggerimenti