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L’AUTORE. Paolo Zerbato, segnalazione della biblioteca di Malo

Un giorno sull’Altopian...

di Paolo Zerbato

Paolo Zerbato

Cadevano inesorabili. Quelli che resistevano si posizionavano in parti imbarazzanti. Quelli tenaci impallidivano di fronte alle vicissitudini dell’esistenza. Tra le trincee dell’Altopian, mentre lo sdegno lievitava dentro nel ricordo del sacrificio di tanti giovani, il pensiero va ai capelli che hanno lasciato il posto a una pista di pattinaggio.

Mi ritrovo, nel mezzo del cammino, con ciò che resta di una selva sbiancata, disseminato di peli in luoghi risibili. Orecchie che sembrano vasi di gerani innevati, il petto il brolo arido e incolto di una vecchia canonica. Vuote lattine creavano una nuova barriera difensiva intorno alle tende non ancora smontate di un gruppo di giovani che ora esploravano alcune trincee.

Belli come solo la giovinezza può esserlo. Dissacranti e irriverenti come solo questa stagione lo è.

Uno mi urta correndo nel suo gioco. Si volta e mi guarda come se vedesse un essere miserevole.

Il centenario ha rinverdito il ricordo della Grande Guerra che di grande non ha nulla se non l’inutile violenza. Quello che un tempo era uno scontro assurdo tra nazioni lascia oggi lo spazio a un conflitto generazionale.

Ma non ho intenzione di trincerarmi nelle mie idee e convinzioni maturate nel tempo.

Una guerra di posizione non paga, oggi come ieri.

L’uomo è per la maggior parte fatto di acqua, mi dico, e in quest’epoca liquida la cosa non mi dispiace.

Apro con cura la cartina storica per rispolverare i luoghi di scontri cruenti. Le chiome leonine mi scrutano curiose. L’attesa prima della battaglia. Uno con lo smartphone puntato in ogni direzione comincia a sciorinare i nome delle vette circostanti. Ridono e si complimentano con il novello cicerone. L’attacco è stato sferrato con un’app. Uno a zero per la nuova tecnologia! Pensano. Smartphone contro cartina storica. Son venuto sull’altipiano per sfuggire all’ondata migratoria della calura africa che ha portato insonnia e forte sudorazione più che vampate xenofobe. Chissà se anch’essa è arrivata clandestinamente. Ero affascinato dalla storia degli zii emigrati a Chicago, un secolo fa. Mi è rimasto solo il ricordo di una foto stropicciata color seppia su cui fantasticavo. Avevo la mia Chicago, la mia mappa del mondo. La mappa di un bambino, ricca di emozioni e di storie più che di grattacieli. Comunque gli zii si rimboccarono le maniche e si rifecero una vita e una nuova nazionalità non certo restando ad aspettare con uno smartphone in mano. Ogni epoca ha le sue nebbie e pochi posseggono i fari fendinebbia per penetrarle in profondità e vedere oltre. Percorro trincee risistemate spostandomi, in questo breve peregrinare dal sapore aspro e forte, più con la mente che con le gambe. Una nuova mappa affastellata dalle storie di piccoli grandi uomini legati all’intricato filo spinato della storia centenaria prende forma. Per rispetto ai tanti fanti morti in questo paesaggio carsico strappo i post-it mentali con i nomi dei generali, i soli citati nei libri di storia. Dicono che portino iella, soprattutto uno, quello dell’Ortigara. Ma non sono superstizioso! Prendo il pane. Somiglia ai giovani. Croccante, ruvido e irregolare fuori, morbido dentro. Splendido pane! Il salame con l’agio sembra fatto apposta per allontanare spettri e persone. Ma i campeggiatori sono come le mosche dell’altopiano. Attendo un nuovo assalto, stavolta alla baionetta.

- Quella cima era italiana o austriaca?

- Avete lo smartphone. Perché non usate? - Non c’è campo in ‘sta buca! Pausa tattica. - Là c’era una postazione di mitragliatrici austro-ungariche e da qui partirono tanti italiani che furono decimati. - Da qui! Un assalto? - Che cosa potevano fare? O l’assalto o la fucilazione. Avevano la vostra età! Non han potuto sposarsi, metter su famiglia… - L’han scampata grossa!

Risate.

L’assalto prosegue.

- Cosa mangia?

- Panino con salame. Ne volete?

- Siamo vegetariani. Non mangiamo animali uccisi!

- Ah! (Pausa) Anche i vegetali sono esseri viventi. Son più importanti per la nostra sopravvivenza che non i suini.

- Ma i vegetali non soffrono come gli animali.

- Non so! Non appartengo a quel regno, per ora.

Nonostante tutto provavo simpatia per quei giovani o forse per la giovinezza.

Argilla plasmabile.

La vita, penso, termina quando la terra si secca e non è una questione anagrafica.

Gli eventi precipitano.

- Dai vecio che se femo un selfie!

Vengo circondato.

Una nuova Caporetto!

Nel riflesso dello smartphone riesco a vedere uno che mi fa le corna.Mi giro, lo guardo negli occhi.

- Stai insultando il tuo futuro.

Me ne vado dopo aver sparato l’ultima cartuccia.

(da biblioreca di Malo)

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