<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
L’AUTORE. Nicole Campagnolo, segnalazione della biblioteca di Bressanvido

Un’estate da cani

Nicole Campagnolo

 

Il sole di mezzogiorno splendeva in un cielo terso. L’asfalto era cocente, tanto che ad ogni passo che faceva percepiva un dolore acuto ai polpastrelli. Anche se tentava di camminare sul bordo della carreggiata dove spuntava qualche ciuffo d’erba secco, il bruciore rimaneva intenso. Essere un cane non sempre significava fare la bella vita come molti umani credevano. Specialmente d’estate. Si fermò davanti ad una rientranza che conduceva ad una stradina di sassi. Anche se non lo voleva, con la mente ritornava a pensare ai suoi padroni. Lo avevano preso dall’allevamento in cui era nato e lui era felicissimo alla sola idea di poter entrare a far parte di una nuova famiglia a cui poter donare tutto il suo amore. Ma questo suo sogno si era infranto troppo presto. Si accorse che qualcosa non quadrava quando vide i suoi padroni indaffarati nel riempire di vestiti e scarpe le valige. Notò anche che non gli prestavano più di tanto attenzione: per esempio, quando lui gli si avvicinava con la pallina in bocca per giocare, loro lo cacciavano via, tanto erano presi dalle loro faccende. Tutto quello significava che presto sarebbero andati in vacanza. Quando arrivò il fatidico giorno della partenza, lo fecero salire nel baule della macchina, senza farlo entrare nella gabbietta. La cosa gli parve alquanto strana, ma subito non ci diede troppo peso: pensava che lo avrebbero portato con loro ed era eccitato all’idea di vedere posti nuovi insieme alle persone a cui era fedele. Quindi si accucciò nel bagagliaio e rimase fermo, con le orecchie ben tese. Ma le sue aspettative si infransero poco più tardi, non appena sentì il padrone rallentare, per poi accostare l’auto e fermarsi ai lati della strada. Sentì dei rumori: la padrona doveva essere scesa dal lato del passeggero. Quando la vide aprire lo sportello del bagagliaio fu accecato dalla luce per un attimo, giusto qualche manciata di secondi che a lei bastarono per prenderlo, gettarlo fuori e risalire in macchina, per poi ordinare al marito di ripartire. Non appena la vista tornò come prima, riuscì a distinguere lamacchina dei suoi padroni in lontananza che diventava sempre più minuscola. Lì per lì non capì cosa fosse successo. “Perché mi hanno lasciato qui e sono ripartiti senza di me?” si chiese. E poi tutto fu più chiaro. Si ricordò di quella volta in cui al telegiornale trasmisero un servizio sui cani di un canile italiano. Sentiva raccontare dal giornalista il motivo per il quale in estate la struttura si popolava così tanto: moltissimi dei suoi simili avevano conosciuto quella cosa che gli umani chiamano “abbandono”. Si vedevano lasciare per strada da un momento all’altro senza motivo, proprio da quelle persone di cui loro si fidavano. E potevano inseguirli per chilometri, senza ottenere alcun risultato: nessuno sarebbe mai tornato indietro a riprenderli. Ora era arrivato il suo turno: era stato abbandonato. Si accucciò, spossato dal caldo e dalla sete. Non c’erano apparenti zone d’ombra. Se fosse rimasto lì per tutto il resto della giornata senza bere una goccia d’acqua, non se la sarebbe cavata. In cuor suo sperava che qualcuno potesse passare e prenderlo con sé, ma quella era una strada poco frequentata, l’aveva capito molto presto: erano passate pochissime auto. Il tempo sembrava non passare mai. Si stava rassegnando a soccombere sotto il sole estivo e morire di sete, quando uno stridere di pneumatici gli fece alzare le orecchie. Da quanto disidratato era, sentiva di avere la lingua a penzoloni e non riusciva a sollevare la testa per vedere meglio chi fosse sceso dal veicolo che si era fermato a pochi passi da dove giaceva lui. Sentì delle voci, sembravano di un uomo e una donna, ma il caldo intenso faceva i suoi effetti e si sentiva così debole che dopo qualche secondo svenne. Quando si risvegliò, alzò piano la testa e si guardò in torno. Si trovava in una stanza dalle pareti bianche, non molto arredata. Era adagiato sopra un lettino e quando vide delle persone davanti a lui, di cui una che indossava un lungo camice bianco, capì che si trovava in un ambulatorio veterinario. “Ben svegliato” si sentì dire. “Eri stato abbandonato lungo una strada di campagna, ma da oggi avrai una nuova famiglia, questa coppia di anziani ti ha salvato.” I due vecchietti lo osservarono con un sorriso sincero. Anche se era ancora provato dalla brutta avventura, sentì la gioia salirgli dentro. Avrebbe iniziato una nuova vita e qualcosa dentro di lui gli disse che non sarebbe mai più stato abbandonato. (da biblioteca di Bressanvido)

Suggerimenti