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L’AUTORE. Martina Massignani, da Bertoliana

Tenuti d’occhio
per otto anni

di Martina Massignani

Martina Massignani

Non ci eravamo scelti. Era semplicemente capitato di finire a vivere insieme. All’inizio ci squadravamo: io spiavo dalla mia camera i suoi movimenti, mentre fingevo di ammirare le onde del mare che si spezzavano come vetro sugli scogli, e aspettavo di vederlo arrivare. Il suo pregio: camminare con la delicatezza di uno spettro. Si muoveva fulmineo, come se fosse inseguito. Non apriva bocca con nessuno, preferiva dormire per ore. Sì, passava il suo tempo a dormire, ma sempre vigile, pronto a lanciarmi il suo sguardo un po' cupo e aggrottato. Pareva che ce l'avesse con il mondo, con il sole che gli trafiggeva gli occhi la mattina. Lo irritavano l'odore di candeggina che impregnava i cuscini, il rumore dell'aspirapolvere che già dai primi risucchi gli sconvolgeva il sonno. Di nascosto lo controllavo, osservando la pineta in lontananza che si sporgeva sull'orizzonte blu del mare come una bocca imbronciata di denti fitti e acuminati. Lui si stendeva al sole, nell'angolo dove i raggi battevano come lame, e a volte mi lanciava una delle sue occhiate oblique. Avrebbe voluto prendermi, lo so, ma non poteva. Per lui non esistevano stagioni, viveva ogni giorno con la stessa pacata tranquillità. Io, invece, sentivo il rumore dell'estate prima ancora che iniziasse. Erano le cicale a spegnere il silenzio annichilente che l'inverno gettava sul mare. Con il freddo, il mio cantuccio mi era gradito e ammiravo il mescolamento di cielo e acqua in un groviglio grigio. Ogni tanto mi spaventava quel violento mare nero, ondeggiante, con la chioma spezzata dal vento. Brontolava e si accaniva sulla sabbia bianca. Certo lo preferivo estivo, quando si faceva amabile, accogliente, fumante di sole, con cozze che spuntavano come mille occhi. Lo conoscevo così bene, il mare, e anche la vita che gli scorreva addosso durante l'estate: spiavo i bambini costruire castelli che diventavano regge per i granchi; vecchi che si avventuravano nell'acqua del mare che inghiottiva le loro gambe. Scrutavo le boe in balia delle onde che si lasciavano galleggiare sul pelo dell'acqua. E mentre io potevo solo osservare l'estate che fuggiva di corsa, lui tornava a casa quando voleva, a qualsiasi ora della notte, portando con se' il profumo di mare che io assaporavo così, perché gli rimaneva impigliato addosso. Conosceva sicuramente tutti i segreti che l'estate serbava in sè, mente io li scoprivo piano piano, come spettatrice chiusa in quella gabbia. Volevo sfiorare i raggi di sole, immergermi nell'acqua per lasciarmi cullare. E poi, la spiaggia! Era tutta onde: le onde nervose del mare, le onde di alghe sparse sulla riva. Quando arrivava l’estate, tornava in me il desiderio di vita: avrei voluto sciogliere le membra intorpidite, invece che amarla da lontano. Lui, al contrario, appariva indifferente. Io non gli volevo bene perché mi sembrava l'essere più emarginato e odioso del mondo; lui stesso non voleva mai nessuno. Ci ho passato otto anni della mia vita, sempre tenendolo d'occhio dall'alto del mio cantuccio, dove passavo il tempo a sgranchirmi le zampe e a strapparmi le piume per il prurito. Quando è morto, non ho sentito nessuna mancanza. Ogni tanto però, ho ancora il riflesso involontario di guardarmi attorno per cogliere il guizzo della sua coda nera dietro l'angolo della camera, o il suo occhio giallo, che mi fissa nel buio più profondo.

(da biblioteca Bertoliana,Vi)

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