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L’AUTORE. Gabriella Stella, dalla biblioteca di Santorso

Sparai e uccisi il leone
in un sogno africano

Gabriella Stella


Il vento notturno faceva danzare il fuoco e le sagome dei ceppi inceneriti sembravano sentinelle addormentate. «Hai sentito?» mi chiese Anna. Eravamo ancora svegli, con il telo della tenda socchiuso per osservare la notte. Era piacevole starsene sotto il tepore delle coperte, consapevoli che il vento era freddo e proveniva dalle montagne. Ascoltavamo le iene mentre giravano per il campo. Erano affamate e si muovevano rapide e nervose.
Negli istanti in cui il vento si placava, un silenzio profondo ed intenso avvolgeva l'Africa. Un ruggito scosse improvvisamente la notte. Anna si strinse a me, il suo corpo era profumato come l'erba delle praterie a primavera. Con l'indice disegnai il profilo del suo naso, le labbra ed il mento. Da alcune settimane, un leone adulto stava attaccando e uccidendo il bestiame di un piccolo villaggio masai che si trovava nelle vicinanze.Il mattino seguente, c’era una luce dorata nei ciuffi di acacia della febbre gialla che crescevano nelle valli. Anna ed io, eravamo usciti all’alba e stavamo osservando una dozzina di bufali rotolarsi nel fango. Ad est, dove cresceva rigogliosa l'erba elefantina, un branco di zebre si aggirava con prudenza, mentre un maschio sferzava l'aria con la coda.Risalimmo con la jeep le colline, fino a trovare le impronte del leone sul terreno.
Restava ormai ben poco di una zebra uccisa la notte prima. Uno stormo di avvoltoi volava alto nel cielo, in attesa che il pasto fosse abbandonato.Due leonesse si trovavano poco lontano dalla carcassa e avevano entrambe la bocca scurita dal sangue. Anna mi indicò un punto lontano, oltre la collina, vicino alla grande palude. Vidi il leone con la criniera scura illuminata dal sole ed il corpo massiccio di colore grigio oro. I suoi occhi erano fermi e decisi, intenti a contemplare la distesa africana. Se ne stava disteso tra l'erba alta, vicino al tronco spezzato di un grande albero. Lasciai Anna nella jeep, scesi e mi avvicinai, spostando con la mano alcuni arbusti che mi impedivano di vedere il leone.Nell'altra mano tenevo il fucile.
Il vento era cessato e non avrebbe sentito il mio odore in anticipo. Arrivai ad una decina di metri e il leone si accorse della mia presenza. Rimase fermo ad osservarmi. Imbracciai il fucile e sparai un colpo secco. Il proiettile lo colpì sul fianco, nell’attimo in cui stava per muoversi. Ferito e sanguinante, cambiò improvvisamente direzione e prese il sentiero che conduceva all’interno della foresta. Corsi verso il leone e quando si trovò nella radura spoglia, imbracciai nuovamente il fucile. Mirai sopra la sua testa e leggermente a lato. Sparai un secondo colpo. Questa volta il proiettile lo colpì tra la spalla ed il collo, facendolo atterrare sulle zampe anteriori, con un tonfo sordo e pesante, che non alzò polvere dal terriccio. Raggiunsi il leone e lo trovai con gli occhi vitrei, la testa piegata di lato. Ero madido di sudore e il cuore mi sobbalzava nel petto. Come diceva spesso Anna, stavo diventando vecchio per rincorrere un animale.Quella notte, attorno al grande fuoco, i masai danzarono al ritmo dei tamburi fatti con pelle di elefante e cantarono tutti la canzone del leone. Erano molto belli, con le loro teste rasate, la pelle scura e lucida, le lunghe lance a disegnare l'aria.
Il corpo del leone era disteso a terra, mentre la luce delle fiamme illuminava il suo manto, facendolo sembrare una divinità. Nella mia tazza d’acquavite, si specchiava interamente la luna piena.
Mi svegliai con un movimento repentino. Il sole era una palla infuocata che feriva gli occhi e la temuta estate africana non dava tregua. Misi il nuovo romanzo di Wilbur Smith nello zaino e presi la crema solare ad alta protezione. Mi ero addormentato leggendo e per poco la schiena non si era bruciata.
Un bambino davanti a me, giocava felice con la sabbia. Aveva costruito un castello dentro il quale ogni tanto spariva. Lo guardai con gli occhi velati di chi è appena tornato da un posto lontano. Le mani di Anna scivolavano lentamente sulla mia schiena, mentre il mare in lontananza brillava come perle d’argento. L’estate, pensai, è una stagione fatta per sognare.

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