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L’AUTORE. Giulia Sbrizza, segnalazione della biblioteca di Cornedo

Sottofondo di cicale

di Giulia Sbrizza

Giulia Sbrizza

Estate. Calura soffocante. Cicale. Immobilità.

Se si potesse riassumere l’estate in poche parole, sceglierei queste.Ma mi illudo, l’estate non si può riassumere. Una manifestazione così completa, pregnante, densa, sovrabbondante di stimoli non è riducibile a qualche vuota parola.Riparata, sotto la tettoia del garage, me ne sto mollemente adagiata sulla mia sedia di plastica bianca, una di quelle sedie da giardino che si comprano nei discount e che durante la stagione invernale si trovano relegate nel fondo delle rimesse. Indosso corti pantaloni di cotone ed una canottiera fucsia, di due taglie più grandi, eppure, ho caldo.

La pelle delle gambe, sudata e appiccicosa, è incollata alla seduta e lo stesso vale per quella degli avambracci, distesi sui braccioli ricurvi della sedia. Ho raccolto i capelli nella speranza di captare anche il più flebile alito di vento ed asciugarmi così il collo, ma tutto è immobile, nulla ha l’ardire di muoversi in quella luce abbacinante che annulla persino i colori dei gladioli, piantati in file ordinate lungo il cordolo del muro che circonda la casa. Osservo tutto ciò con la testa un po’ ricurva e le sopracciglia corrucciate nel tentativo di arginare la luce che potentemente invade tutto il garage. L’afa è presente come un essere vivo attorno a me, la sento, riconosco il suo abbraccio che mi indebolisce, mi induce sonnolenza, mi spossa le membra.

Chiudo gli occhi. E sorrido. Non ho intenzione di combatterla. L’ho aspettata per tutto l’inverno, ho desiderato provare di nuovo quella sensazione annientante sulla mia pelle, su tutto il mio corpo, ho sperato ardentemente che la bella stagione durasse più del solito, prolungandosi infinitamente. Amo il caldo, ma lo amo in modo completo, come una beatitudine, anche quando la calura è quasi impossibile da sopportare, quando si suda pur rimanendo immobili, quando la pelle si brucia per mezz’ora di esposizione: in quei momenti io vivo, nello stesso modo, uguale e contrario, in cui, in inverno, mi spengo lentamente, andando a chiudermi in me stessa, come un fiore che appassisce e si secca. Mi alzo, staccando lentamente la pelle dalla superficie della sedia. Percorro un brevissimo tratto completamente inondato di sole per entrare in casa. Il muro dell’abitazione e il marciapiede trasudano calore; come esseri vivi paiono contorcersi sotto quell’attacco impetuoso della luce, trasmettendomi così un muto segnale d’aiuto. In queste calde giornate di fine luglio, mia madre tenta in tutti i modi di combattere il caldo: le persiane si chiudono durante il giorno e si aprono la notte, quasi risentissero del jet lag, mentre grandi ritagli di stoffe multicolori vengono appesi all’esterno delle finestre, aggiungendo così un ulteriore strato all’abitazione per preservarla dall’arsura, conferendole un aspetto trasandato di vecchio circo in rovina. Mi rifugio nell’androne delle scale che portano al piano superiore, unico luogo un po’ più fresco degli altri ambienti della casa; gli scalini in granito “Rosa Porrino” sono piacevolmente freddi quando mi siedo. Appoggio la schiena alla ringhiera in legno; i singoli elementi sono lisci, severi, levigati alla perfezione. Così seduta, mi tornano alla memoria ricordi lontani nel tempo: un luglio afoso, come il presente, ma di molti anni fa, io e mia madre sedute su quegli stessi scalini, lei tiene in mani un quaderno, in attesa di una mia risposta, ed io cerco di articolare un discorso. Sto preparando l’esame orale di quinta elementare in cui dovrò esporre la mia ricerca sulla Germania; l’agitazione è tanta, ma la prova non mi preoccupa troppo. Ciò che non sopporto è il dover ripassare infastidita da un caldo infernale.Allora lo odiavo il caldo: mi costringeva in casa nelle ore migliori per giocare all’aperto, non mi faceva dormire la notte, obbligandomi a rigirarmi infinite volte tra le lenzuola, e puntualmente mi irritava la pelle, provocandomi fastidiose bollicine rossastre e pruriginose.

Cosa è cambiato da allora? Perché ho iniziato ad aver bisogno del caldo? Forse è mutato qualcosa in me. Quella bambina vispa, decisa ed esuberante, si è trasformata, a poco a poco, in una giovane donna meno vivace, spaventata dai suoi stessi sogni e, in definitiva, meno felice. Il fuoco, che pareva animare la me stessa di un tempo, ora sembra spento e, forse, cerco di compensare quella perdita di fiamma vitale rubando quanto più calore possibile alla bella stagione, sperando che quel fuoco sia solo sopito.

(dalla biblioteca di Cornedo)

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