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L’AUTORE. Cristina Rossetto, segnalazione della biblioteca di Palazzo Costantini, Vicenza

Ricreatorio con suora

di Cristina Rossetto

Cristina Rossetto

La bambina con le trecce abitava in una vecchia casa dai soffitti altissimi nel centro storico della città. Si affacciava su una stradina stretta tutta in discesa, a pochi metri dalla piazza principale. Ma la piazza, pure così vicina, non si vedeva perché l’altro lato del vicolo era chiuso dal muro alto della chiesa dei Servi di Maria. Chi fossero questi Servi di Maria la bambina non lo sapeva. La chiesa era un luogo noto e familiare, come i canti che ogni sera alle sette venivano dalle vetrate. Erano sempre le stesse canzoni, a volte “Tu sole vivo” che anche lei sapeva bene a memoria, oppure “Andrò a vederla un dì, in cielo o patria mia”, e in alcuni giorni speciali c’era anche “Ti saluto o Croce Santa”. La voce di Ancilla, la sorella del parroco che gli faceva anche da perpetua, le giungeva nitida, nasale. L’avrebbe riconosciuta tra mille.

C’era solo un’altra persona che cantava così. Era suor Teopista, la suora piccola con il naso ricurvo che dirigeva il ricreatorio estivo. La bambina trascorreva lì gran parte dell’estate. Sua madre le diceva che le suore erano buone e le insegnavano a ricamare. La bambina non diceva niente e la mattina partiva con le trecce ben annodate e con il sacchetto della merenda.

Che le suore le insegnassero a ricamare era vero. Le bambine facevano centrini a punto erba con fiori a punto pieno e le più brave anche a punto Rodi. Suor Teopista non l’aveva mai sgridata, ma la bambina non la guardava mai negli occhi. Sapeva un odore freddo di medicine e di disinfettante, non l’odore buono di cucina che aveva la nonna.

Nel pomeriggio suor Teopista le portava nella cappella di Santa Bertilla, dall’altra parte della strada. Qui c’era sempre “l’Adorazione”. La bambina entrava a passi timidi nella frescura della chiesa e stava lì nella penombra, vicino alla suora. Dopo un po' si voltava piano e ogni volta scorgeva nell’ombra la sagoma scura del corpo della santa. Fredda e immobile, vestita come suor Teopista, santa Bertilla stava lì con il viso di cera e gli occhi chiusi. Le mani con le vene in rilievo stringevano il rosario.

Un giorno dopo l’ora del pranzo le bambine uscirono nel cortile interno. Era un cortile lungo e stretto di cemento, che correva contro un muro di sassi. E sul cemento caldo di sole trovarono un uccello piccolissimo. Se ne stava lì con le piume arruffate intorno al collo. Le bambine gli si erano fatte tutte intorno con gridolini.

Suor Teopista si avvicinò subito, lo prese in mano e lo esaminò con il suo naso ricurvo. L’uccellino strabuzzava gli occhi e tentava di divincolarsi ma suor Teopista lo teneva stretto e lo esaminò con calma: era un merlo piccolo che si era perso. Bisognava lasciarlo in pace, anzi era meglio non dargli da mangiare altrimenti poi avrebbe sporcato il cortile. Lo appoggiò sul cemento e tornò svelta al suo posto di guardia.

Le bambine sembravano impazzite. Accovacciate intorno, se lo contendevano senza osare prenderlo in mano. Il merlo muoveva la testa di qua e di là e si arruffava tutto. Anche la bambina con le trecce si era fatta vicino, era in prima fila e gli occhi le ridevano. Ma mentre si alzava per far posto alle altre, una spinta dall’esterno la buttò in avanti e con il peso del corpo schiacciò l’uccellino.

Le urla delle bambine riempirono il cortile, qualcuna si mise a piangere. Suor Teopista piombò nel mezzo, guardò il merlo, strattonò la bambina per un braccio e con l’altro le mollò una sberla.

Il suono secco del ceffone tagliò l’aria. Si fece d’un tratto silenzio. Tenendola stretta per un braccio la suora la portò in fondo al cortile e le mise in mano il lavoro. Lei si chinò sul piccolo telaio rotondo e prese svelta a cucire.

Suor Teopista tornò alla sua sedia, tutta rossa in viso. Improvvisamente si alzò: "Tutte in cappella da S. Bertilla". Non era l'ora dell’Adorazione, ma la bambina con le trecce si mise in fila con le altre. Attraversarono la strada e furono subito nell'ombra della chiesa. Dopo un po’ come sempre si voltò piano. Il corpo della santa era ancora là, freddo nel suo viso di cera e con le mani dalle vene in rilievo. Quando ebbero finito suor Teopista le guidò verso l'uscita. Avevano già fatto la genuflessione e qualcuna spingeva la porta. Allora suor Teopista tirò la bambina con le trecce per un braccio fuori dalla fila e a voce ben alta, che tutte sentissero, disse che per oggi lei sarebbe rimasta lì a pregare.

La bambina si mise in piedi pallida a fianco del corpo della santa. Nella penombra della chiesa le ginocchia le tremavano un poco.

(da biblioteca

Palazzo Costantini, Vi)

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