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L’AUTORE. Maria Pianalto, segnalazione della biblioteca di Creazzo

Quando la sera si “domava” la pasta
e al mattino arrivavano le vicine

Maria Pianalto


Mi chiamo Maria e sono nata in collina, in una numerosa famiglia, due femmine e tre maschi. Sin dalla tenera età era richiesto il mio aiuto per l'andamento della casa.
Era l'8 dicembre del 1952, con la mia famiglia abbiamo fatto San Martino, avevo 2 anni e 10 mesi, e questo è il mio primo ricordo.
Io sono nata in casa dei nonni paterni, ma era usanza che nel momento in cui si sposava un fratello di mio papa', per noi arrivava il momento di cercare una nuova casa. Abbiamo caricato le nostre poche cose su un carro, tra cui un cesto a forma di culla con mia sorella nata solo il 29 agosto di quell'anno.
A quei tempi il lavoro scarseggiava e il mio papà rimaneva spesso a casa mentre la mamma lavorava in una filandra vicino casa. Una sera mentre papà preparava la cena in attesa del ritorno della mamma dal lavoro, noi bambini, ormai cresciuti un po', ci siamo nascosti sotto al tavolo della cucina. Era il nostro gioco preferito: avevamo trovato un appiglio nel cassetto che mancava e adoravamo appenderci e dondolarci a turno. All'improvviso il tavolo si rovesciò e tutte le scodelle caddero a terra rompendosi. Apriti cielo: noi bambini non temevamo le urla del papà, che si esaurirono subito, ma il ritorno a casa dal lavoro della mamma. Lei ci rimproverò fino all'ora della buonanotte.
Crescendo, io che ero la seconda, venivo sempre chiamata in causa; la mamma mi diceva: “tu che sei la più' grande fai questo e quello”. Già a sette-otto anni venivo mandata fuori con una mucca a pascolare. Qualche volta la mucca finiva nel campo di “sorgo” di qualche vicino e allora erano guai per la mucca e per me. Sul monte c'erano molte piante di castagni, con le foglie e noi bambini facevamo il cappello degli indiani, mentre con i fili della “piantaggine” facevamo delle seggioline in miniatura.
Quelle semplici seggioline erano per noi bambini un gioco meraviglioso e ancora oggi le faccio per le mie nipotine.
Nella nostra casa inizialmente il riscaldamento era costituito dal camino o dalla stalla, solo successivamente i miei genitori acquistarono una stufa verde a legna. La sera la mamma mi diceva di accenderla e allora io uscivo per andare alla “busa”. La “busa” era una zona recintata dove le mucche andavano a bere, tutto attorno c'era una siepe secca dove io prendevo delle bacchette con cui accendere la stufa.
Mano a mano che crescevo la mamma la domenica andava alla messa prima, lasciandoci a casa, al suo ritorno se non vedeva già dalla strada il camino fumare mi sgridava.
Avevo sette anni quando nacque il mio quarto fratello e mia sorella pianse disperata ripetendo: “Non sono più la coccolona del mio papà”.
Nelle sere d'estate era bello prima di rientrare in casa lavarsi i piedi in un secchio e asciugarli con una “canevassa” tutta scura.
Nella mia casa si faceva il pane e la sera la mamma faceva il “levà”: si prendeva la farina bianca con il lievito di birra, si impastava e domava, e si metteva a riposo nella “mesa”. Al mattino arrivavano a casa alcune vicine e riprendendo l'impasto si formavano le “ciope” e per i bambini si formavano delle colombe con parte dell'impasto. Quando il forno era bello caldo si infornava e dopo un po' il profumo del pane si diffondeva ovunque. Io ho sempre amato il momento di domare la pasta e ancora oggi per la mia famiglia preparo la pasta fatta a mano con la “mescola”.
(da bilioteca di Creazzo)

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