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L’AUTORE. Lucia Balestro, segnalazione della biblioteca Bertoliana, Vicenza

Piraterie infantili

Lucia Balestro

I raggi del sole volgevano al tramonto, illuminando di una luce teatrale il casale col volto. Abitare su quelle pendici era come stare su un temperato altipiano e quel tardo pomeriggio il borgo era assopito nei rumori della campagna. Niente passava inosservato. Piccolo, minuto con una barbetta bianca, assomigliava a una vivace capretta. Arrivava con quel cappello giallo. Gli correvo incontro battendo il cinque: Sottu u ventu… sta Beneventu! Aveva le dita scottate dai fiammiferi e le unghie ingiallite. La pappagorgia del mento tendeva a raddoppiare a seconda dell’angolazione che assumeva, per questo stirava di continuo la testa come un tacchino. Diceva che era di Benevento e ogni anno arrivava fin su da noi sulla collina. Quella sera prese a descrivere la sua terra, quel suo paese abbarbicato tra strette viuzze e destrosi circoli dove splendeva sempre il sole e si mangiava la pizza. Aveva un senso dell’umorismo profondo. Ridevamo tutti. Cercavo di capire la sua pronuncia e con la bocca aperta gli insegnavo le nostre sottigliezze venete “gao”, (gallo) quella “l” doveva sciogliersi, non si doveva sentire, la punta della lingua doveva restare giù. Polenta, si pronuncia “poenta”, gli alveoli dei denti superiori non si dovevano toccare. Gli dicevo di ritirare la lingua quando pronunciava “bigoi” (spaghetti) e di non dare sempre del voi a tutti , mi pareva insensato! La polenta doveva essere calda al punto giusto perché era compito della zia Miranda tagliarla. Ricordo che teneva un filo, il suo personale, alle estremità ben saldo e con un’arte tutta zitellesca lo tuffava e lo passava sotto alzando la fetta. Gastone era uno spilungone con un pomo d’Adamo prominente che spiccava un po’ decentrato sul collo, veniva sempre per la zia. Ogni circostanza per lui era un’occasione e quella sera era arrivato con la sua Lambretta nuova, scintillante. Eravamo saliti a turno e lui si prodigava in scatenate circonvoluzioni, ci pareva di essere a Indianapolis. A un certo punto aveva perso il controllo del mezzo e con un testa e coda roccambolesco la vespa si era impennata. Si era schiantato con un urlo belluino, tra la cuccia del cane e le balle di fieno. La pelliccia del sellino si era incollata sul ciuffo imbrillantinato. Con quella criniera che gli ballonzolava sulla groppa, assomigliava vagamente a un koala in luna di miele. Lo sterzo della Lambretta era tutto storto e si era incastrato nei resti della cuccia. Il cane gli ringhiava addosso di continuo e Gastone aveva le budella attanagliate. Gli avevano offerto un bicchierino di Torcolato per riprendersi dallo shock. Notai che quella sera non aveva sussurrato alla zia Miranda, come al solito con gli ormoni in fermento e lo sguardo da cicisbeo innamorato… chiamami Gastoni sarò la tua birra… che la faceva sempre schiattare. Gli slanci vitali si erano smorzati e il precedente stato di eccitazione si era trasformato in una abbietta rassegnazione. A metà serata mio fratello entrò in azione, serbava da qualche giorno un progetto e decise che il tempo era maturo. La serie di cioccolatini che aveva sottratto di nascosto dalla credenza dovevano essere smaltiti. Rischiava che si sciogliessero nelle tasche dei suoi pantaloni. L’Ambulatorio del Consultorio Familiare non ne rilasciava molti, li chiamavano purgativi ma lui li aveva assaggiati ed erano di buoni. Quella scorta gli era costata ore di appostamento nelle cucine. Dopo cena aveva aperto il mercatino e tutti noi avevamo partecipato. Una barretta 2 figurine, due barrette un soldatino e così via. Le trattative si protrassero fino a sera inoltrata e gli invitanti cioccolatini furono tutti piazzati con soddisfazione. Li aveva venduti tutti! Fu una scorpacciata memorabile. I sintomi non tardarono a manifestarsi e la notte palesò ben presto gli effetti fisiologici di una dissenteria collettiva. Sotto le coperte iniziò un concerto degno della Scala di Milano e bianchi come lenzuola schizzavamo a turno in direzione delle latrine in lamiera. Serrando le chiappe per controllare l’indisposizione, le gambe parevano due spaghetti scotti e le ginocchia di gelatina, la casa era diventata una vera raffineria puzzolente. Quella mattina avevamo tutti le occhiaie come dei panda e, tra le manfrine, volarono generosi scappellotti. Come se non bastasse, sui nostri visi erano spuntati stranissimi foruncoli così che nessuno di noi era potuto andare a scuola quel giorno. Storie accadute, cose capitate, stagioni di innocenti piraterie infantili.

(da biblioteca Bertoliana, Vi)

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