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L’AUTORE. Angelica Montagna, da Valdagno

Non passa estate
che quella telefonata
non ritorni...

Angelica Montagna


Mare cristallino, cielo azzurro, spiagge bianche… Eppure la mia estate è diversa. È un luogo dove nevica, dove il cappotto che ricopre il mio involucro viene chiuso sulla sommità da una sciarpa di lana, di quelle fatte a maglia, a rigoni colorati. È dove le rondini iniziano a volare con il loro garrire festoso, campane di una vecchia chiesa di campagna a richiamare i fedeli. È un girotondo triste di foglie secche. È uno spazio dove l’unica recinzione è pace perenne che sconvolge un silenzio assordante, infinito. Respiro vita, respiro estate, un’epifania di emozioni ad ogni nuova alba che mi conferma puntualmente che sono viva, che anch’io ci sono, seppur con nuovi solchi in viso che tengo cari come rami d’ulivo benedetti. Anche quella volta era estate. Un esame medico fatto poco prima di partire per le vacanze. L’Andalusia. L’appuntamento ad una risposta dopo 40 giorni, i famosi 40 giorni durante i quali non si può far altro che aspettare mentre il pezzettino prelevato dal tuo corpo viene sminuzzato e guardato nella lente d’ingrandimento da chi fa soltanto quello di mestiere e vede talmente tante cellule, buone e meno buone, da riportare con una X nelle caselle “positivo” o “negativo”. Chissà chi fu quella volta a capire per primo che quel brandello di carne interna avrebbe scombussolato un vita. La sua penna si sarebbe diretta verso la casella di sinistra. Positivo! Forse in quel momento masticava un chewing gum, o sapeva ancora di fumo di sigaretta buttata qualche istante prima nel suo momento di pausa. Non so il perché ma l’ho sempre immaginato maschio. Era stato detto 40 giorni, come mai proprio mentre mi stavo imbarcando in aereo, a distanza di appena 10 giorni dal prelievo, era arrivata una chiamata dal medico specialista? “Ciao, come va? Stai tornando dalle ferie suppongo…”. L’amico medico ha fatto male i conti. “No, a dire la verità sto partendo adesso, te lo avevo detto.” Dall’altra parte c’è un improvviso silenzio seguito dal goffo tentativo di parlarmi di riassetto territoriale sanitario, blaterando informazioni che capisco non essere vere ma soltanto cercate al momento, per supplire il vero oggetto della conversazione. Lascio parlare, dapprima intenta a capire, mentre il suo impercettibile affanno affonda sempre più come uno stiletto mortale. “Hai saputo qualcosa del risultato? Forse no, siamo ancora troppo indietro con i tempi, è troppo presto, non è così?” Imploro con parole non dette di rimandare quell’attimo tremendo e grave, a partire dal quale tutto cambia. In quella pausa che precede la risposta, mi è tutto chiaro, come la lettura di una sentenza dove è già stata decisa ogni cosa. Dove non c’è spazio per l’interpretazione. Un’improvvisa paura mi assale alla gola. E davvero tutto viene rivelato. La mia estate, il calcolo sbagliato delle mie vacanze, il verdetto di condanna proprio quando stavo per imbarcarmi in un volo che mi avrebbe portata nella terra dei toreri e delle dame coperte di merletti, passione di rose gettate con tocco gentile.“Se stai via una settimana è meglio che al tuo rientro tu venga dritta da me. Dovremo parlare di come procedere…”. Che delicatezza, che sottile petalo ad accarezzare il mio volto spaventato. Non c’erano X, non c’era alcuna parola spaventevole seppur inserita nel vocabolario. Nello stesso tempo c’era tutto. La mia estate! Il mio librarmi in volo apparentemente libera come una crisalide che ha messo le ali ed è diventata farfalla stupenda. Mille colori iridescenti a confondere, a camuffare un marcio che ormai faceva parte di me. Non passa agosto che quella telefonata ritorni in sogno. E nell’estasi del mio cuore è sempre estate!
(da biblioteca di Valdagno)

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