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L’AUTORE. Ilaria Storti, segnalazione della biblioteca Riviera Berica, Vicenza

Nello zaino sensi di colpa e tristezza
Poi ecco i sentieri senza inizio né fine

Ilaria Storti


Nello zaino avevo messo, fatti stare quasi a forza, i miei sensi di colpa e tutta la tristezza che da essi nasceva. Un mattino limpido, freddo e buio, ero partita con questo peso sulle spalle, come sempre sola, ancora intontita da un breve ma pesante sonno senza sogni, intenzionata ad arrivare sulla cima più alta delle montagne che mi circondavano indifferenti.
Durante il cammino il peso dello zaino mi affaticava le gambe, mi offuscava la vista, mi inumidiva i pensieri. Razionalmente non pensavo a quel peso, né a nulla, ma il dolore sulle spalle curve e sui polpacci tesi testimoniavano un pensiero nascosto. Non riuscivo a scrollarmi di dosso quella sofferenza che più la strada si faceva dura più mi afferrava le caviglie, quasi a volermi spingere indietro, come ad indurmi a ruzzolare giù, tra i sassi appena calpestati nelle interminabili salite. Il sole che appena sveglio mandava surreali fasci di luce rosa tra le cime era uno spettacolo a cui guardavo quasi con la noia delle cose già troppe volte viste, sebbene quella fosse la prima volta che mi trovavo all'alba ad attraversare quella lunga e fresca valle. Amo infatti tanto la montagna quanto le lunghe dormite mattutine, ma quel giorno mi ero svegliata al buio allo scopo preciso di camminare indisturbata afferrando stretta la mia solitudine. E così, in silenzio e con il silenzio di una mente quasi vuota, ho camminato dentro all'oscurità di un bosco di abeti rossi, calpestandone il morbido terreno umido, circondata da odori che non percepivo e da precoci canti che non sentivo. Un altro silenzio mi vide attraversare un prato di alti pascoli, tirato a lucido da mucche solerti che ancora dormivano nelle loro stalle. E poi ho camminato su sentieri di sassi bianchissimi alla luce del nuovo sole, ho visto senza vedere ciuffi di rododendri in fiore e percorsi delineati da mughi, nebbie che si diradavano, nuvole veloci nel cielo ormai luminoso. E alla fine mi sono trovata di fronte alla salita, quella che nelle ore precedenti avevo solo immaginato ed atteso. Si trattava di un ampio dente di roccia bianca e rosa, fatto di sassi instabili, quasi verticale. A guardarlo dal basso sembrava che sorridesse come in una foto dallo sfondo celeste illuminata dall'ormai quasi caldo sole d'Agosto. Dopo una breve pausa ad ammirare lo spettacolo di quella natura di roccia, stranamente interessata a ciò che mi aspettava ed anzi quasi preoccupata, per la prima volta quel giorno, della pericolosità della mia solitudine, ho iniziato a salire.
I miei passi erano decisi, sofferti, lenti. Le mie mani afferravano nude la roccia ancora fredda in ricordo della notte. Il mio cuore batteva ritmico e veloce. I muscoli delle mie gambe si contraevano dolorosamente ad ogni scalino. I piedi scivolavano insicuri su piccoli cumuli di neve marcia nelle nicchie. Lo zaino era sempre pesante, di un peso insostenibile, come se fosse pieno di tutti i sassi di tutte le montagne. Ma la salita era lunga, difficile e liberatoria e la fatica fisica allontanava in me la tristezza e mi obbligava ad essere presente nel presente. Quando finalmente ho conquistato quella cima accadde qualcosa di magico. Al di là dell'ultima roccia, un passo solo dall'altra parte della montagna, un secondo dopo essere arrivata, ho sperimentato una pace immensa. Il silenzio divenne totale. Neppure il rumore del fresco vento che prima mi asciugava il sudore si sentiva più. I gracchi alpini avevano improvvisamente smesso di strillare. Lo stesso mio cuore pareva essersi fermato e il mio respiro si era fatto calmo.
D'improvviso, quasi, la solitudine era diventata condivisione, comunione con il paesaggio lunare intorno, armonia con il sole dritto sulla testa e gioia infantile. E senza neppure chiedere nulla a me stessa, ho intuito la fragilità dell'essere umano, ho compreso i collegamenti tra le cose e tra le persone e tra il passato ed il presente. Ho percepito sulla pelle la transitorietà della vita e di tutte le cose della vita. Ho perdonato i miei errori di piccolo essere umano, puntino inutile quanto necessario e misterioso. E mi sono preparata, ormai svuotata, ad una allegra e leggera discesa, verso un'estate appena arricchita di una nuova consapevolezza, senza orizzonti, come gli innumerevoli sentieri ancora da percorrere, quelli che non hanno un inizio ed una fine ma nei quali è nel cammino il piacere e lo scopo.

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