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L’AUTORE. Federica Nardi Belfontali, dalla biblioteca di Chiampo

Momenti di solitudine

Federica Nardi Belfontali

 

A luglio, nel pieno dell'estate, non si dovrebbe uscire all'una di pomeriggio a fare un giro in bicicletta. Soprattutto se è da un po' che non piove, l'aria è pesante e non tira un filo di vento. Ma a me non importa, perché nella mia mente ogni uscita sulla bici è una soddisfazione che si gusta ancora di più dopo una lunga attesa: i rumori del bosco, il vento e il verde, mi ripuliscono; il mio corpo si espande e diventa parte degli alberi, delle foglie secche, del muschio che ricopre le rocce. Il caldo del cuore dell'estate mi distrugge ma allo stesso tempo mi avvolge, mi coccola. Così, appena posso, salgo in bici e parto a razzo in cerca del verde e della luce del sole. Durante tutto l'anno non faccio altro che aspettare, aspettare che sia di nuovo estate. Il calore e l'afa a volte sono infernali, ma non li temo. Cerco il calore, la solitudine, il non trovare nessuno sulla mia strada. La mia fuga nel primo pomeriggio di luglio è perfetta: la strada scura mi scorre davanti mentre pedalo furiosamente per raggiungere il prima possibile la fine della città. Le vie sono deserte e anguste, le auto friggono ferme nei parcheggi, le finestre sono chiuse e i negozi serrati. La campagna invece è ampia, ariosa. I campi di frumento, tagliati da poco, sono di un bel colore dorato e danzano all'orizzonte, infuocati da un sole potente. Arrivo in un luogo via via sempre più verde, i prati da foraggio sono ben tagliati e lasciano spazio a piccoli sprazzi di bosco. Inizia la salita, resa tremenda dal caldo e la completa assenza di vento. Le gocce di sudore mi colano sul collo, la nuca e scendono sulla schiena. Dopo la salita una piccola valle si apre, al centro un piccolo abitato; una volta raggiunto mi sembra praticamente deserto. Alcune case pendono su un fianco, il tetto crollato. Altre sono chiuse e l'edera ha ormai da anni coperto parti delle loro mura e l'erbaccia infesta i loro praticelli. Mi fermo in una piazzetta, scendo dalla bici. Inspiro ed espiro profondamente mentre una leggerissima bava di vento mi rinfresca la nuca bagnata. Il calore è così possente da rendere densa l'aria, come una nebbia invisibile e rovente. In fondo a una via trovo una piccola chiesa, e accanto un cimitero circondato da un vecchio e malandato muro, sulla cui parete vedo incisa una data: 1810. Lascio la bici fuori ed entro. C'èuna piccola panchina dove mi siedo. Di fronte a me una sfilza di vecchissime tombe, l'erba cresce alta e alcune lapidi sono cadute sul davanti rompendosi in varie parti. Il muschio le sta lentamente divorando. Seduta su quella panchina trascorro un tempo indefinibile, con la testa rivolta verso il cielo, un cielo quasi grigio e grave data la foschia. Ad un certo punto entra nel cimitero una piccola vecchia, silenziosa e cauta. Porta una graziosa camicetta a fiori e una gonna nera fin sotto il ginocchio. La testa candida e spumosa, piegata in avanti dagli anni e dagli acciacchi. La osservo non senza stupore considerato che in quella giornata era la prima persona che vedevo. Si avvicina a piccoli passetti stanchi, a malapena mi nota, e appoggia su una piccola tomba un mazzetto di fiori di campo. E rimane lì, in silenzio ad osservare una lapide ormai illeggibile, tutta incrostata e smunta. Aguzzo lo sguardo, nella piccola foto ovale si intravedono i lineamenti delicati di un volto di ragazza coi capelli scuri e ricci, come i miei. I tratti del viso non sono più distinguibili, scomparsi nei toni seppia delle vecchie foto. Leggo che aveva quasi la mia età quando morì,ma non ne leggo il nome. Uno strano brivido mi fa tremare le braccia. Mi alzo dalla panchina e esco dal cimitero. La bici non c'è più, non vedo più la chiesa, le case, la strada. I campi si aprono e riempiono tutto quello che la vista può toccare; il fieno raccolto profuma e i boschi incorniciano l'orizzonte a una distanza impossibile da calcolare. Il cielo è una cupola fresca color del lillà, piccole nuvole passeggiano spinte dal vento come fiocchi di cotone, in alto. Mi appoggio al muro del cimitero, disorientata. Sento il mio corpo espandersi come spesso mi accadeva durante le mie escursioni nei boschi, ma la sensazione è così forte da risvegliare tutta l'adrenalina. Respiro profondamente, rientro nel cimitero e mi lascio ricadere sulla panchina. La vecchietta è sparita. (da biblioteca di Chiampo)

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