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L’AUTORE. Elisa Marcolin, segnalazione della biblioteca di Marostica

Mi confidò che si sarebbe sposato
Avevo fatto la scelta giusta?

Elisa Marcolin

 

Mi alzai stranamente presto quella mattina d’estate. Si preannunciava un’altra giornata afosa. Presi il mio berretto e pensai alla fresca brezza dell’alba che mi accingevo ad assaporare, al profumo dell’erba tagliata che inondava la campagna, il meraviglioso profumo dell’estate. Speravo di trovare il modo di dirlo a qualcuno. Volevo dire tutto. Quel sogno, il sogno che quella notte mi aveva così agitato sembrava quasi un presagio della mia vita futura. Avevo visto Londra dal finestrino dell’aereo. Avevo visto i grattacieli, il Big Ben. Ero atterrata e avevo preso una macchina a noleggio. Stavo percorrendo la strada verso il mio appartamento, sentivo persino le buche dell’asfalto che mi facevano sobbalzare, mi sentivo terribilmente sola. Invece non raccontai nulla. Poco prima di uscire fissai la mia scrivania di rovere, accesa da un raggio di sole improvviso che aveva cambiato anche il colore dei mobili della mia camera. Il disordine che mi aveva tenuto compagnia in quella stanza nell’ultimo periodo non c’era più. Uscii. Mi trovavo in un altro capitolo della mia vita. E non sapevo più come proseguire, mi sentivo paralizzata di fronte a quella pagina bianca. Rientrai sfinita dalle temperature roventi di quei giorni infuocati e ancora molto confusa. Trovai sollievo, sotto le fronde lussureggianti della quercia che inorgogliva il piccolo fazzoletto di terreno dietro casa mia. Guardando in alto, tra i rami, potevo notare ancora una zona dove si facevano meno intricati e lasciavano intravedere frammenti di cielo azzurro. In quell’apertura sorgeva la casetta di legno dove giocavo con i miei cugini. L’avevo pensata e ripensata un sacco di volte quella casetta sull’albero, progettandone con una precisione certosina ogni facciata, finché il nonno si decise a costruirmela. Era un luogo solo per noi bambini, magico, custodiva le nostre conquiste, i nostri sogni e le nostre paure. Avevo appena terminato la maturità e per me quella quercia non rappresentava soltanto il tempo passato e le magnifiche estati della mia infanzia, mi ricordava anche qual era la mia vera passione, la stella polare che avrei dovuto seguire per approdare alla mia realizzazione. In quell’istante tutto si fece improvvisamente più chiaro e nitido: mi sarei iscritta ad architettura a Venezia. Nel calderone di emozioni, dentro il mio petto, vorticavano l’eccitazione, l’entusiasmo d’iniziare una nuova avventura ma anche l’angoscia di deludere i miei genitori, che speravano per me un futuro da medico, assieme al mio fidanzato Matteo. Non seguire il mio sogno sarebbe stato come negarmi la possibilità di essere felice, il peggior tradimento che potevo fare a me stessa. No, dovevo essere io a decidere. Così avventurandomi tra canali, ponti e calli intrapresi la difficile salita verso la meta. “Avere la possibilità di guadagnarsi da vivere facendo ciò che si ama, è uno dei doni più grandi della vita” era questo il motto che mi faceva sempre rialzare nei momenti di difficoltà. Quindici anni dopo… Non riconoscere più la piazza del mio paese, fu la prima consapevolezza del passare del tempo. L’appuntamento era fissato al bar Roma. Mi guardai intorno cercando d’individuare l’insegna del locale, per avere la conferma che si chiamasse ancora così. Il mio sguardo percorse la graziosa volta descritta dalle foglie del glicine che impreziosiva la facciata del bar. Un uomo dalla folta capigliatura leggermente brizzolata sedeva a uno dei tavolini. Non era cambiato per niente, la sua postura dritta e fiera faceva trasparire la sicurezza e l’ottimismo che per osmosi trasmetteva a chi gli era intorno. Ritrovare i suoi occhi neri e penetranti mi turbò, non pensavo potessero farmi ancora quell’effetto. Erano passati tanti anni dall’estate della maturità, allora eravamo innamorati. Poi la lontananza e gli impegni di studio ci separarono, eppure eravamo rimasti buoni amici. Matteo era diventato un cardiologo affermato in Veneto. Io gli raccontai della mia decisione di trasferirmi a Londra, perché di fronte ad un contratto da seicento euro al mese, non avevo avuto altra scelta. Lì ero realizzata professionalmente, seppur sentissi fortemente la mancanza dai miei cari e dalla mia terra. Lui, un po’ esitante, mi confidò che si sarebbe sposato con una sua collega, il mese seguente. Mi sentii mancare il fiato, rimasi turbata, senza parole. Rividi la grande quercia, in quell’estate lontana, e per la prima volta mi chiesi se la scelta presa allora era stata davvero quella giusta. (dalla biblioteca di Marostica)

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