<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
L’AUTORE. Caterina Pericci, segnalazione dalla biblioteca di Montebello Vicentino

Melina aveva paura,chi è il vero mostro?

di Caterina Pericci

Caterina Pericci

Seduta sull’ultima panchina del parco, quella dietro l’oleandro, Melina seguiva con lo sguardo la lunga fila di formiche che passava sotto i suoi piedini. Melina si affrettava a leccare il gelato che subiva inesorabilmente il calore africano di quella giornata. Ad un tratto un signore anziano e sudaticcio si sedette vicino a lei con aria indifferente e con un sacchetto del panificio pieno zeppo di briciole che attirarono subito decine di piccioni. “Belli vero?” disse l’uomo, ma Melina lo ignorò preferendo la fila di formiche a quella conversazione. In cuor suo aveva timore di quell’estraneo, come una specie di presentimento.

Non le piaceva come fissava le sue ginocchia ossute che spuntavano dalla sottogonna a fiorellini. Provava un forte imbarazzo per l’insistenza di quello sguardo inopportuno ma non sapeva perché. L’uomo si avvicinava a lei con la scusa dei piccioni ma questo la disgustava, pensava a sua mamma che si chiudeva il bottone della camicetta quando zio Casimiro buttava l’occhio nella scollatura. Si alzò e corse verso le altalene sperando di trovare qualcuno della sua età per chiacchierare. A quell’ora però non c’era nessuno. Erano tutti al campetto da calcio dietro la chiesa a vedere quel fenomeno di Roberto che giocava nella squadra dei grandi. L’uomo l’aveva raggiunta anche lì, vicino alle altalene. Ma che vorrà da me questo brutto tipo? Pensava Melina infastidita. E’ grasso e sudato e puzza come l’armadio di nonna Pia. Con una mossa astuta la bambina fece finta di salutare qualcuno e si allontanò. Appena girato l’angolo corse a più non posso verso l’uscita dei giardinetti ma improvvisamente l’uomo sudato uscì dal vialetto di destra e la fermò mettendole la mano sulla spalla. “Dove corri?” le disse, sembra che tu abbia visto un fantasma! Melina non parlava. Fissava schifata la mano a salsiccia che le bloccava la spalla. Le venne una gran voglia di piangere. Pensò che avrebbe potuto, anzi dovuto, gridare aiuto: la guardia del giardino l’avrebbe sentita! Troppo tardi: l’uomo le aveva già messo una mano a salsiccia sulla bocca e con l’altro braccio cercava di bloccarle le gambette ossute che nel frattempo avevano iniziato a tirar calci come un canguro. Cosa voleva farle? Non lo capiva ma intanto continuava a tirar calci! Uno era probabilmente andato a buon fine perchè l’uomo fece un grosso balzo all’indietro e perse per un attimo l’equilibrio lasciando la presa. Melina non si perse d’animo e schizzò via come una saponetta. Corse, corse e corse ancora. Uscì dal giardino e percorse via Libertà come una pazza, svoltò per via Cavour e corse ancora fino alla bottega della signora Linda! Si appoggiò alla vetrina e riprese a respirare. Il cuore sembrava uscirle dalla bocca. Era salva, pensava. Quel porco non l’avrebbe più raggiunta. Il fiato tornò regolare. Ecco, si disse, ora torno a casa e racconto tutto alla mamma. Fece due passi in direzione della piazza ma una mano la trascinò dentro a un’auto. Sono fritta, pensò. Guardò l’uomo alla guida e capì tutto: era il grassone del parco. Stette in silenzio alcuni minuti. L’auto si fermò fuori città. L’uomo scese e aprì la portiera. Da quel momento fu un susseguirsi di grida, pianti, calci dati e sberle prese. Lei cadde e l’uomo la prese per i capelli e la trascinò dentro alla cascina. Passò circa mezz’ora e Melina uscì dalla casa diroccata. Si aggiustò la treccia e si spolverò il vestitino. Andò verso la cisterna dell’acqua e si lavò le mani e la faccia. Il sangue è difficile da togliere, pensò. Poi tornò dentro la cascina a cercare il fazzoletto, forse le era caduto durante la colluttazione. Il porco giaceva là in un’enorme pozza di sangue, il petto squarciato e gli organi sparsi qua e là. Melina lo guardava con aria di sfida. Col fazzoletto si pulì accuratamente gli artigli e li ritrasse. Spinse i canini all’interno della gengiva come li portava di solito. Scrollò le spalle per ricomporre i muscoli. Passò accanto al cadavere e gli diede un colpetto alla testa: ciao ciccione, oggi hai trovato un mostro più mostro di te.

(da biblioteca di Montebello)

Suggerimenti