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L’AUTORE. Sara Sagrario Pasantes, dalla biblioteca di Torri di Q.lo

Mare, terra e dialetti
tra Galizia e Sardegna

Sara Sagrario Pasantes

Estate. Stagione di rimembranze, o meglio di memorie,di leggende e tradizioni. Ricordo ancora, dopo tutto non è passato poi tanto tempo, il cigolio di una vecchia poltrona di legno, l’odore di seadas proveniente dalla cucina e gli occhi espressivi di una donna che ha significato più di quanto io non sia riuscita a comprendere prima che fosse troppo tardi.Allo stesso modo, porto con me la descrizione di scorribande giovanili e relati familiari che hanno del fantastico: lingotti d’oro e messe in scena, emigrazioni e ritorni tanto agognati. Ebbene sì, perchè l’estate è il momento dei ritorni per coloro che sono cresciuti in una terra che non sentono loro, perennemente estranei. La“patria” affascinante che non si ricorda non è più accogliente della terra che accoglie, esigente e diffidente, in cui il sentirsi fuoriposto penetra nella pelle. La buona stagione è tempo di viaggi, quando possibile, sennò semplicemente di immagini veementemente create con la speranza di sentirsi a casa, di appartenere, anche solo per un breve periodo.E quando le terre in cui le proprie radici affondano profonde nel ricco terreno sono due, il dolore e la volontà di trovare una propria identità raddoppiano. L’estate in Galizia è fresca e benevola, le frequenti piogge bagnano la terra, rendodola fertile. L’erba, di un quiescente verde profondo, mai assumerà in altro luogo un colore maggiormente vibrante. Il mare è burrascoso, potente come null’altro in natura, esso regala ricchezze e trafuga vite, una benedizione e al tempo stesso, un cruccio. I sorrisi sono tanto fuggenti quanto genuini; la gente semplice, leggermente diffidente ma eternamente accogliente. I dialetti chiusi, duri, dai profondi suoni gutturali racchiudono mondi di fantasia e saggezza popolare ma sopratutto la tristezza e la gioia di un popolo di lavoratori. L’odore di mare sempre significherà il ritorno a casa, la sensazione di respirare realmente dopo mesi e mesi di lontananza. Questa terra, dal fascino perenne, racchiuderà sempre il rancore per tante scelte sbagliate e i volti di persone la cui mancanza fa piangere lacrime amare e la cui vicinanza, seppur momentanea, fa rimpiangere il non conoscersi meglio. Il senso di colpa è una costante, per tutti i volti che non si riconoscono, per tutti i luoghi mai visitati, per una cadenza nel parlare che non si possiede e che rende semplici stranieri, nonostante tutto, nonostante le origini che, in fin dei conti, non sono altro che delle radici sradicate dal terreno. L’estate in Sardegna è ardente, l’ocra e tutte le sfumature del giallo dominano i paesaggi. Le notti estive sono lunghe, scure ma nitide, profonde, animate da falò in spiaggia, cene all’aperto, dal fruscìo costante delle foglie nella pineta. Il mare è clemente e pacato, il movimento ondulatorio delle sue onde ricorda la cadenza cantilenante ma ferma dei dialetti; quei dialetti compresi ma non parlati, custodi di una tradizione unica e millenaria, di creature magiche e leggende bisbigliate con un filo di voce mentre tutti i bambini ascoltano, totalmente rapiti, senza nemmeno osare distogliere lo sguardo, tanto sono preziosi quei frammenti di vite e storie. La Sardegna è viva, fiera delle proprie usanze; tutti i suoi abitanti vi sono profondamente legati, anche coloro che l’hanno dovuta abbandonare da tanti, troppi anni e che ogni estate fanno di tutto per farvi ritorno, per ritrovare una casa. Essi sperano, con tutte le loro forze, che non troppo sia cambiato, che ci siano gli stessi volti ad attenderli; tentano di fare ritorno a ciò che era, ai loro ricordi. I luoghi cambiano, ma l’estate conserva i propri odori, i suoni e le usanze. In molti c’è sempre la volontà di tornare ma anche la coscienza di quanto arduo sarebbe e del fatto che ahimè, ormai, la propria vita è altrove. È una regione dai mille suoni e profumi: il fragrante mirto sulla costa, inebriante, potente, la sabbia chiara, le alghe fresche e l’erba secca. La Sardegna, per me, è mia nonna, il suo sorriso, la paura di dimenticarne la voce. Queste due terre, le estati lì trascorse, sono tutto e sono niente. Sono periodi di esplorazione e di ansiosa ricerca. Di cosa? Non lo so. Di certezze e di conforto, di appartenenza. Non è tempo perduto, è un momento di scoperta, di comunione con ciò che è stato. Sono estati di riflessione, più preziose di una settimana sotto l’ombrellone; più dolorose di un viaggio in un Paese sconosciuto.

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