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L’AUTORE. Valeria Tosi, da biblioteca di Thiene

Le notti odoravano
di erba tagliata
e di pelle calda

Valeria Tosi


Le sette e trenta, mi devo sbrigare. Mi stiracchio un altro po’ tra le lenzuola, con qualche brivido di fresco. Le notti si sono raffreddate ed ora si dorme con le finestre chiuse, i rumori rimangono chiusi fuori e si ricrea una sensazione di intimità e languore, un dolce scivolare nei ricordi caldi dell’estate, mentre fuori il mondo si risveglia con i suoi affanni e le sue nevrosi. Ho sognato questa notte, ovviamente, e il sogno era solo di colori, tutte le sfumature del giallo e arancio, come una foto del deserto visto dall’alto, e poi le tinte forti del cielo e del mare. Forse ne farò un dipinto, come quello che ho intitolato: Del verde e del blu, dopo un sogno di una gigantesca tela di acqua a Parigi, con lo sfondo della Tour Eiffel. Da quel dipinto, magicamente, era emerso il volto di Giulio. L’avevo visto solo il giorno dopo, con la luce del mattino; ecco il suo sorriso un po’ sornione, il naso leggermente adunco, persino lo sguardo era identico al suo. La prima volta che l’avevo incontrato era stato alla stazione di Vicenza, e faceva un caldo tremendo. Ci eravamo presto riparati dentro un bar, condizionatore a manetta, a prenderci uno shakerato e avevamo cominciato a parlare come due vecchi amici che si ritrovano dopo una lunga e forzosa attesa. Lui mi aveva raccontato della sua vita avventurosa, dei suoi lunghi viaggi all’estero, ed io ero rimasta affascinata dal suo modo fantasioso di narrare, dalla dolce e calda intensità della sua voce, dal suo sguardo profondo e pieno di cose viste e vissute. Così era cominciata la nostra estate, la nostra prima stagione di scoperte e meraviglie, foto scattate tra il verde dei parchi pubblici e i monumenti cittadini, in quel periodo fantastico in cui la città si svuota e gli spazi si lasciano esplorare senza pudori. Camminavamo mano nella mano, all’ombra ristoratrice dei portici, fermandoci davanti alle vetrine delle agenzie di viaggio e fantasticando sulle nostre mete future, litigandoci il diritto di scelta. Poi si tornava alla realtà dei nostri pochi giorni a disposizione e del futuro sempre incerto. Gli sguardi si incupivano un po’ e un velo di tristezza raffreddava l’atmosfera vitale e piena dei giorni estivi, un’ombra che neppure il sole più cocente poteva sciogliere e far sparire. Le sere erano piene dello stormire delle cicale e noi ci attardavamo sulla veranda, a cenare all’aperto, a bere del buon vino rosso e ammirare i lunghi tramonti e i malinconici crepuscoli, per poi rientrare in casa, tenendoci stretti, già timorosi di perderci. Le notti odoravano di erba tagliata e della sua pelle calda e scura come il cuoio, bruciata dalle lunghe esposizioni al sole africano. Sul comodino un bicchiere di acqua e un fiore di campo raccolto per me. Luce, ricordo tanta luce, che dilatava i secondi e i minuti e tutto si riempiva di più, sempre di più, come uno stagno che diventa lago e poi mare e poi oceano. E in questo ampliarsi, la vita si arricchiva di nuovi sapori e colori, sfumature di intensità variabili, momenti che già si facevano storia, nel rapido accumularsi delle lunghe giornate e delle odorose notti.
Ripenso a questi ultimi mesi, di nuovo fin troppo caldi, e mi rivedo passeggiare da sola lungo i viottoli di campagna, con la mano tesa a sfiorare qualche ciuffo d’erba, di grano verde/dorato, di avena selvatica, mentre i pensieri arrivano in alto e da lassù, sopra il cielo reso grigio dalla pesante afa, immersa nel blu cobalto e luminoso, aspetto il mio amore, che a migliaia di chilometri di distanza è indaffarato in mezzo alla polvere, al sudore e al sangue. Cerco un rimedio alla malinconia nel contatto risanante con la Natura, nei campi ricolmi di piccole vite pullulanti e indaffarate: di qua un gruppo di formiche in ordine sparso che corre apparentemente senza una meta precisa; di là api e vespe che ronzano attorno ai variopinti fiori selvatici; suoni di uccelli che salutano gioiosi le loro giornate, echi di rumori di macchine agricole e voci lontane di bambini che giocano all’aperto.
Ma tutto questo è ieri, già passato; l’estate è finalmente finita e con essa il periodo di servizio volontario di Giulio come medico in Africa. Oggi mi sveglio stiracchiandomi e pregustando il nostro abbraccio all’aeroporto di Venezia, dove tra poco lo andrò a prendere, per una nuova stagione insieme, la nostra.

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