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L’AUTORE. Carmen Feltre, segnalazione della biblioteca di Longare

Le mie nozze di luglio

Carmen Feltre


Di’ Alessandra, ma tu te la ricordi l’estate del ’76? Beh, sono d’accordo con te, quell’estate non aveva niente di speciale, era proprio come tante altre, non fosse stato per quel singolo giorno. Ma certo che te lo ricordi Alessandra, eri lì con me: era il 26 luglio 1976. Che giornata, ragazzi! Fredda e piovosa, e io mi sono sposata proprio in quel giorno lì. D’accordo, era un matrimonio sotto tono, per giunta con il solo rito civile, e non ce n’erano molti a quell’epoca. Non ero neanche tanto entusiasta di sposarmi, però un minimo di preparazione l’avevo fatta: un vestitino blu a pois bianchi, con un bel volant attorno alla scollatura, senza maniche perché avrebbe dovuto essere caldo. I capelli li avrei tenuti sciolti, non ero tipo da acconciature elaborate. Ma quando mi sono svegliata, quella famosa mattina, stava diluviando e faceva proprio freddo! Ma ve l’immaginate una che si deve sposare e deve pensare a cosa mettersi? Il vestito era improponibile. Meglio gonna e camicetta… qualsiasi, naturalmente. E i capelli? Umidità e capelli sciolti non vanno d’accordo, perciò corsa affannosa dalla parrucchiera con risultato deprimente. Invece tu, cara amica, te ne fregasti allegramente e sfoggiasti la tua bella chioma bionda e lunga in tutto il suo splendore. Quant’eri bella Alessandra! Pantaloni, maglietta, l’immancabile sciarpina al collo, l’eleganza ti era naturale per via del fisico da modella. Lo sai che mi sono accorta da poco che assomigliavi molto a Monica Vitti? Perfino il timbro di voce un po’ roco come il suo: troppe sigarette, eh Ale? Ma se non ci fossi stata tu, quel giorno, probabilmente il matrimonio sarebbe andato a monte. Eravamo tutti lì, quattro gatti: giusto i parenti strettissimi e qualche amica, però mancava un personaggio importantissimo: il mio testimone di nozze! Niente cellulari all’epoca, e lui a casa non c’era. Già ero arrivata in ritardo io (mio padre non trovava parcheggio) e l’assessore che mi doveva sposare aveva un po’ di fretta. Fosti proprio tu, cara amica, a fare da tramite instancabilmente con quell’assessore frettoloso: quante volte sei andata su e giù per quello scalone per pregarlo di aspettare ancora un momento, la prego, ancora solo un momento! In realtà al mio testimone erano successe due grosse rogne: la perdita di una lente a contatto (prima della rasatura, per cui aspetto trasandato), e pioggia talmente battente da provocare danni al motore dell’auto… che lo ha lasciato a piedi! Eravamo tutti lì, anche il mio futuro marito, munito di un bel golf, poi c’era gente in stivali e tailleur: proprio una bella giornata estiva. Quando finalmente è arrivato anche il testimone, tu hai fatto da apripista e sei volata su a fermare l’assessore ormai seccatissimo: penso che abbia celebrato il matrimonio in meno di dieci minuti! Naturalmente la prima manciata di riso ai novelli sposi fu la tua: soldi buttati via, tanto ero già incinta e non era un mistero per nessuno! Il resto della giornata è più nebuloso: ricordo l’attraversamento cauto di Piazza dei Signori bagnata da parte di mio marito che aveva i mocassini nuovi. Ma un po’ tutti avevano scivolosissimo cuoio sotto i piedi! Poi un aperitivo, qualche confetto passato di mano e la trattoria con i parenti. La giornata rimase comunque fresca, niente a che vedere con questa estate torrida. Dopo qualche tempo, Alessandra, te ne sei andata negli Stati Uniti con tuo marito e il piccolo Marco. Quante lettere-fiume ci siamo scambiate! E dopo la prima M di Marco sono arrivate altre due M: Matteo e Martino. Ogni volta mi mandavi le loro foto con orgoglio. Quando finalmente sei tornata in Italia per una breve vacanza sei venuta a pranzo da me con i tuoi tre formidabili e bellissimi maschietti, e io non stavo più nella pelle dalla gioia. In seguito le lettere si sono fatte più rade, però certe persone rimangono comunque nel cuore per aver condiviso un pezzo di vita importantissima, e tu, Alessandra, nel mio cuore ci sei rimasta sempre, ed ora posso parlare liberamente con te, finalmente, anche se solo con il pensiero. I tuoi figli, tre begli uomini indiscutibilmente americani, sono davanti a me, di spalle, e più avanti ci sei tu: un’urna elegantissima che contiene le tue ceneri, che guardo il meno possibile. Perché proprio non lo voglio credere che non ci sei più. Chissà cosa pensavo: forse che tu fossi immortale, così piena di vita come sei sempre stata. Ciao cara amica: il filo che ci ha legate è oggi più forte che mai.

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