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L’AUTORE. Nicoletta Rocchetto, dalla biblioteca di Dueville

Le calde attese

di Nicoletta Rocchetto

Nicoletta Rocchetto

Che cosa dell’estate le piaceva davvero! A metà pomeriggio in stazione non c’era nessuno. Finito il giornaliero via vai degli studenti delle superiori, troppo presto per la maggior parte dei pendolari, a girovagare c’erano solo gli indipendenti, quelli che oggi va così e domani diversamente, un po’ come lei, che se ne stava seduta sulla panchina di legno di una piccola stazione di provincia, sotto una pensilina che non riparava dal sole cocente. Anzi, il sole lo aveva proprio dritto in faccia e scioglieva il fondotinta sotto gli occhiali scurissimi che lentamente scivolavano lungo il naso. Almeno non c’era nessuno. Nessuno che potesse sedersi vicino a lei per parlarle di cose assolutamente inutili.

Ma cosa dell’estate le piaceva davvero? L’aspettava durante gli umidi e grigi inverni di pianura, desiderava le luminose giornate che sembrano non avere fine, immaginava i propri piedi, nuovamente liberi dalle scarpe, spaparanzati nei sandali e la pratica libertà di vestirsi in poco tempo, pantaloni maglietta e via. Eppure la magia dell’estate era tutt’altra cosa in città: già caldo al mattino presto e ancora troppo caldo alla sera tardi, non un albero la cui ombra fosse libera dalle zanzare. E la noia, il tempo sempre uguale segnato da un’inerzia inesorabile.

Chissà se poi l’estate le piaceva davvero. Forse l’estate è bella solo al mare, quando gli occhi navigano, in un unico sguardo, nell’infinito azzurro dell’acqua e del cielo e la vita di prima, quella seduta alla stazione di un immobile pomeriggio di giugno, resta alle spalle e potrebbe, solo a volerlo, non tornare più. Mah, meglio lasciar perdere. Le grandi riflessioni sull’esistenza hanno poco a che fare con il sudore. Alla fine aveva solo caldo. Una mera questione fisica. Della volte basta una doccia per rientrare, felici, nella vita di sempre.

Poi sentì un cigolio di rotelle. Girò lo sguardo. Sull’unico marciapiedi della stazione stava avanzando una donna vestita di arancione, una sorta di tunica svolazzante, nonostante la quasi totale assenza d’aria, stretta in vita da un bordo arricciato con fili colorati. L’abito le arrivava ai piedi e le copriva interamente le braccia. Anche il capo era coperto da un velo arancione stretto sul collo e adorno di bianche perline pendenti sulla fronte. La donna, che spingeva un passeggino, venne a sedersi vicino a lei. Aveva il viso liscio e delicato, gli occhi leggermente a mandorla, liquidi e mobili, il piccolo naso arcuato verso il basso. Era bella, ma non dolce. Del Corno d’Africa, sicuramente.

Girò il passeggino verso di sé. Prese una bottiglia di tè, la aprì e bevve. Il bambino nel passeggino, che non poteva avere più di due anni, allungò le braccia per averne, ma la madre continuò a bere silenziosamente. Poi, di fronte alle insistenze del bimbo, gli porse la bottiglia chiusa. Lui la prese e la gettò in terra, ridendo. La madre lo rimproverò gesticolando esageratamente e alzando la voce nell’afoso vuoto della stazione e il bimbo abbassò la testa, sconsolato. Poi la madre raccolse la bottiglia e la appoggiò sopra il parasole.

Il bimbo guardò la madre, preoccupato. Aveva sete e aveva sonno. Si stropicciava gli occhi con le piccole mani e la guardava. Poi si buttò di lato, come per uscire dal passeggino. La madre gli strinse con forza il braccino e lo rimise seduto. Di nuovo lo riproverò ad alta voce e di nuovo il bimbo abbassò la testa, penitente.

Lei guardava il bambino e le venne voglia di dargli una caramella. Nella borsa ne aveva tre, caso strano. Al pensiero di dargliene una si sentì un po’ più vecchia e un po’ più pietosa e anche un po’ più zitella del solito. Le piaceva quel bambino gracile e pentito, che aveva sonno e sete, cui la madre stava imponendo una disciplina rigorosa e severa. Le piaceva anche quella madre così poco accondiscendente. Se fosse stata una madre anche lei, le sarebbe piaciuto essere così. Ma la caramella la offrì lo stesso, non al bimbo, bensì alla madre. Che ne facesse ciò che voleva. La donna ringraziò. Ha sonno. Fa sempre così quando non vuole addormentarsi.

Poi si rivolse al bimbo, stringendogli nuovamente il braccino con forza: E’ vero che hai sonno?

Il bimbo rise, ma non guardò la madre. Lei allora abbassò sul naso gli occhiali scurissimi e fissò lo sguardo azzurro in quello nocciola del bimbo. Gli fece l’occhiolino. Poi si alzò. Il treno stava arrivando sull’unico binario della stazione. Per fortuna. Ne aveva abbastanza di tutto quel caldo!

(da biblioteca di Dueville)

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