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L’AUTORE. Maria Grazia Dal Prà, segnalazione della biblioteca di Schio

Lancillotto e Ginevra

di Maria Grazia Dal Prà

Maria Grazia Dal Prà

L'estate è il mio momento. C'è poco da dire: quando l'aria inizia a liberarsi dai rigori d'inverno e dai fortunali di primavera, lei ritorna, puntuale e ha occhi soltanto per me. Ho smesso di patire questa condizione che mi rende una sorta di amante stagionale. Perché, quando arriva il mio turno, posso rifarmi alla grande dei mesi in cui sto all'angolo. E anche se negli anni più recenti ho subito a tratti la sorte di chi viene appeso al chiodo, sarei ingrata se dicessi che sono stata trascurata, maltrattata o cose del genere.

A proposito: maltrattata o maltrattato? La mia identità di genere è sempre stata un po' ibrida. Nel dizionario, il mio nome si trova tra i sostantivi femminili, ma lei mi aveva battezzato “Lancillotto”, un titolo che evoca forza, determinazione e qualità cavalleresche di classica attribuzione maschile. Forse proprio per sottolineare che quelle essenze non potevano essere appannaggio di una sola metà del cielo.

Quante ne abbiamo passate insieme? L'ho accompagnata in ogni dove, non solo in Italia, ma oltre le sue personali colonne d'Ercole, condividendo eccitazione e incredulità per le nostre imprese e i traguardi raggiunti. Ero con lei sulle note di marce trionfali che aleggiavano nell'aria un attimo dopo aver compiuto l'ultimo sforzo e visto venirci incontro quella parola: “ARRIVO”.

Se pensate che lo abbiamo fatto per denaro o per sfida vi sbagliate di grosso: lei non è proprio il tipo

votato alla competizione. Sì, sì, è vero che andava a sottoporsi alle visite mediche che attestavano la

sua idoneità fisica all'agonismo. Ma solo perché voleva essere certa di non restarci secca, mica per battere qualcuno o stabilire dei record.

Mi ha trattata sempre con i guanti: sia quelli che usava mentre mi guidava verso nuove avventure, sia quando, con perizia da cesellatore, infilava quelli di lattice per rimuovere dai miei ingranaggi sporcizia, fango e ogni altra testimonianza della strada percorsa. Gasolio, pennellino, detersivo, risciacquo, oliatura...che coccole, che goduria! Non ho dubbio che mi abbia amata ben di più dell'auto: la mia coinquilina, quella stronzetta rossa di rabbia e un po' invidiosa che godeva quando per necessità climatiche, lei la preferiva in vece mia. Ma nel tempo libero ero sempre io ad avere la meglio, pronta ad assecondare i suoi nuovi desideri di altrove. Il nostro è un legame che si è cementato negli anni, che mantiene la promessa di libertà su cui si fonda. Cosa pretendere in aggiunta?

Insomma è vero amore, corrisposto, alimentato, esibito. Soprattutto duraturo. Mica tutte le biciclette hanno avuto questa fortuna. Anche perché il tragico destino di molte di noi è di essere rimpiazzate con frequenza sempre maggiore dagli ultimi modelli immessi sul mercato. Molte di noi patiscono tradimenti insopportabili in questo senso. Ma lei non mi ha mai dato un solo motivo di preoccupazione per evenienze del genere. Vorrei osare dire anzi, che va fiera di questa nostra protratta monogamia, a dispetto delle allettanti innovazioni tecnologiche intervenute nel frattempo. E con la concorrenza delle giovani agguerrite che ci sono là fuori, non è mica così scontato. Per dire, io sono di quel tipo priva di forcelle amortizzate, ma lei sostiene con orgoglio che quello che conta è “il soramanego”, come dicono da queste parti. Vale cioè l'energia impressa dalle gambe che affondano le spinte sui pedali, diramando alle periferiche meccaniche gli ordini del cervello, con sincronia, fermezza. Cercando un impatto armonico con la terra sopra cui le ruote avanzano. Un accordo, una mediazione tra la carne, la terra, il movimento coordinato delle parti in metallo. Avete capito che tipa?

Io la adoro. Ricambio questa fedeltà cercando di darle meno grane possibile. Non bevo, non fumo, mi buco pochissimo. Le faccio portare dieci chili di borse dal Veneto all'Austria...Germania, Francia, Belgio, Lussemburgo...Lei è felice. Nonostante gli anni che passano, spietati per loro natura, minando di ruggine ingranaggi e articolazioni, noi non ci fermiamo. L'anno scorso siamo state costrette alla sosta per via di qualche noia al menisco ma poi ci ha pensato l'osteopata e ora, per l'estate, so io cosa fare. Ho in mente una sorpresina niente male. A Nord, a quelle latitudini che le piacciono tanto, paradisi in terra per quelli come noi. Mi fremono già le ruote, guardatemi, sono...raggiante! Insomma, sono una bicicletta attempata, ma felice, mi chiamo Lancillotto e porto a spasso, orgoglioso, la mia Ginevra.

(da biblioteca di Schio)

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