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L’AUTORE. Serena Balbo, segnalazione della biblioteca di Laghetto, Vicenza

La fragilità che t’insegna la forza
dopo il settembre che rapì la nonna

Serena Balbo


Un giugno piovoso era appena iniziato, ma non era estate per me: la voglia di divertirmi mancava totalmente. Da qualche mese mia nonna aveva iniziato a dare segni di demenza senile con difficoltà a reggersi in piedi; non aveva certo una tenera età, novantatre gli anni, però da sempre in famiglia eravamo abituati ad averla lì presente, abitando vicini. Dopo qualche tempo a casa con l'ausilio di una badante, a metà giugno fummo costretti a portarla in una casa di riposo.Così, nei pomeriggi di quel giugno strano, anzichè starmene in piscina o a oziare, mi dividevo tra i libri per gli esami all'università e le visite alla nonna. L'odore di chiuso e di clinico che sentivo appena entrata dalla porta m'invadeva le narici e mi chiudeva lo stomaco, ma mi ci dovetti abituare e la storia si ripeteva quasi tutti i pomeriggi, in particolar modo dalla metà di luglio, quando passai gli esami e ritrovai un po' di libertà. Luglio però si era portato via la parola della nonna e la sua capacità di riconoscere noi, i suoi parenti più vicini; nel contempo vedere quei volti, quelle persone sofferenti, udire le richieste di aiuto, sentire quell'odore era diventato familiare, ma non per questo più sopportabile.
Un pomeriggio una signora mi avvicinò, mentre camminavo nel corridoio e mi chiese se poteva toccare i fiori che erano disegnati in rilievo sul mio vestito blu; la osservai e mi si strinse il cuore: una donnina minuta dal viso tenero e indossava un maglioncino rosa. Da quel giorno, ogni volta che la vedevo, la salutavo con grandi sorrisi, poi a casa ripensavo a quel viso dolce, agli occhi grandi, ai dispetti che un'altra vecchina molto austera le faceva e mi capitava di trattenere a stento le lacrime; il peso di quelle vite ormai al termine era diventato un macigno.Ad agosto nonna era bloccata a letto, ormai non riconosceva nessuno, o forse sì e si muoveva pochissimo; se sentivo di non farcela, passeggiavo lungo il corridoio, mi fermavo ad una finestra e osservavo il panorama della città dall'alto, con la chiesa di Monte Berico sullo sfondo.
Giunta a quel punto cercavo qualsiasi cosa per distrarmi quando uscivo da quel posto, ma era dura vedere la casa vuota e superare i ricordi dei pranzi di Natale tutti assieme, delle cene con lei guardando la televisione; non era stata una persona facile, anzi era curiosa, impicciona, a volte imperativa nel volere qualcosa, però spesso mi faceva ridere e io facevo ridere lei.
Per trovare una via di sfogo, mi avvicinai alle persone a cui tenevo, cercando però di uscire dalla famiglia e stare fuori casa se potevo; cercai l'affetto di un uomo che mi aveva visto nascere e crescere, con cui la confidenza ci portava spesso a ridere assieme. Tentavo quasi di scappare, ma era l'unica cosa che sentivo di fare, allontanarmi dalla realtà, almeno per qualche ora al giorno.
Settembre porta la malinconia della fine della bella stagione, e a me, portò via la nonna; ero pronta da tempo a quel momento, lei già da un po' non apriva quasi più gli occhi.
Non piansi, bensì mi allietai perchè non era più possibile vederla sofferente e totalmente inerte, l'esatto contrario di ciò che era stata, almeno fino all'aprile precedente. Al funerale tutti la ricordarono come una donna attiva, forte e indissolubile.In quell'autunno io capii che è necessario dire le cose che si pensano, senza remore per non avere rimpianti, perchè in quell'ambiente avevo visto tante vite in procinto di spegnersi e basta un attimo per vedere qualcuno che ami andarsene, che sia con la mente o con il fisico. Compresi che le cose che si sentono farle o dirle subito a chi si ama perchè tutto può cambiare da un giorno all'altro, all'improvviso. Quel periodo vissuto mi rese molto vulnerabile, ma era sintomo del mio bisogno di essere semplicemente amata per ciò che sono, un desiderio comune a tutti e così ho imparato che è bello abbracciare, fare una carezza e mostrare il proprio affetto, anche se magari la famiglia non ti ha abituato ad esternare le emozioni.Oggi, a un anno di distanza, è di nuovo estate e posso dire che accetto la mia vulnerabilità perchè mi ha fatto scoprire la sensibilità che celo dentro di me, perchè dopo quella fragilità ho imparato la forza di superare un brutto evento senza dimenticarlo, la stessa forza che ha avuto la nonna nel restare in piedi per trent'anni senza il marito accanto. La forza, che spero di avere sempre, per cadere e rialzarmi nelle strade in cui la vita mi porterà.

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