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L’AUTORE. Lidia Daniela Sparacino, segnalazione della biblioteca di Malo

Il bisnonno Giuseppe

Lidia Daniela Sparacino

 

A trent’anni incinta di nove mesi guardando le lapidi dell’Ossario di Asiago pensai: io stavo per generare una vita, ma quante vite erano andate perdute? Percepii il controsenso tra nascere e morire. Il mio bimbo a breve sarebbe venuto al mondo mentre in quel luogo atroce che sapeva di passato e di morte, giovani vite erano state spezzate per sempre. Quell’estate passai un periodo ad Asiago nella vecchia casa dei nonni. Un giorno mio padre decise di dare una ripulita alla soffitta e io lo aiutai. Tra le svariate cose che riempivano la stanza, un baule scuro con dei decori dorati attirò la mia attenzione. Incuriosita sbirciai dentro e mi ritrovai tra le mani delle foto in bianco e nero e delle lettere ingiallite dei miei bisnonni Anna e Giuseppe. Quella notte rimasi sveglia a leggere quella corrispondenza. Il padre di mio nonno diceva grazie alla moglie per i momenti preziosi passati insieme. Lei in dolce attesa invece le raccontava della gravidanza. Vidi Giuseppe nella prima foto ritratto insieme alla nonna: un giovane prestante e sorridente. Nella successiva immagine lui era con tre compagni, il viso scarno aveva alterato i suoi bei lineamenti e il suo corpo sembrava indossare una divisa troppo grande, lasciando così poco dell’uomo che era. Erano morti così tanti giovani, inutilmente. Riflettei sulla guerra, era una cosa disumana, inconcepibile, data dal potere e dai soldi e che portava via innocenti. Nessuna vita poteva avere un prezzo per cui ne valesse la pena. Il mio bisnonno nelle sue lettere descriveva la guerra del 1915-18, una guerra di trincea, dove aleggiava sempre la morte, dove non si avanzava e non si retrocedeva. Si percepiva nell’aria la rassegnazione della situazione e lo sfinimento di entrambe le parti dei combattenti. «Asiago dicembre 1917. Cara Anna, questa guerra non porterà a nulla, a incombere su di noi c’è la morte, oggi è andata bene, ma domani? Ogni giorno è un regalo anche se non troppo bello. Non c’è speranza che tutto ciò finisca se non chiudendo gli occhi per sempre. Voglio rimanere attaccato alla vita, ma sono così stanco e mi sto ormai rassegnando a ciò che accadrà. Non c’è più nessuna luce in me e nei miei compagni. Rimane solo il ricordo di chi eravamo. Oggi ha piovuto, il freddo mi è entrato nelle ossa, ho le caviglie immerse nel fango, i piedi ormai insensibili, non so a questo punto cosa prima mi ucciderà. Forse il freddo, forse la mancanza di cibo, forse l’odore nauseabondo legato allo strazio dei corpi ammassati, forse l’abitudine di questa realtà o il nemico? Troppi nemici combattono questa guerra! So che dovrò morire, spero a questo punto avvenga presto. Mi sto lasciando andare, mi dispiace ma sto smettendo di lottare. Ringrazio Dio per quei nostri abbracci e per quel bacio carico d’amore datomi prima della mia partenza. Lo tengo con me e cerco di riviverlo in questo inferno appena ne ho la possibilità. Vorrei conoscere quel figlio mio, ma chissà... Spero piccolo mio che tu abbia un’esistenza serena e senza carneficina, che porti solo sentimenti belli come l’amore. Quell’amore che rassegnato so già che non potrò mai darti. Sempre tuo, Giuseppe». Una giovane coppia quella di Anna e Giuseppe, una famiglia distrutta che non avrebbe potuto crescere insieme. Delle lacrime mi solcarono il viso. Come un triste presagio Giuseppe morì proprio il giorno che nacque suo figlio, mio nonno. La vita si prendeva gioco della morte? O voleva in qualche modo contrastarla? Mi recai all’Ossario di Asiago, dove scoprii era sepolto mio nonno. D’impatto mi colpì la maestosità della struttura, una volta entrata però mi pervase una forte commozione. Nei lunghi corridoi regnava un silenzio disarmante che faceva cogliere la tristezza ma anche la testimonianza di quel luogo. Quando vidi il suo nome sulla lapide pensai a tutte quelle anime perse, a quei giovani ragazzi, ai loro desideri, ai loro volti, tutto era svanito anche se in qualche modo ognuno di loro sembrava esistere ancora. Questa storia era parte della mia famiglia e mi sentivo fiera di avere avuto un bisnonno valoroso. C’era stato un tempo che era stato assediato da morti, ma ora custodito in me c’era un dono prezioso: un piccolo essere che avrebbe proseguito un ciclo inarrestabile. Uscii da quel posto decisa a chiamare mio figlio Giuseppe. (da biblioteca di Malo)

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