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L’AUTORE. Antonio Dal Maso, segnalazione della bilioteca di Villaggio del Sole, Vicenza

Arsiero 1937, l’estate coi nonni
e le panzane di “Bepi Africa”

Antonio Dal Maso

 

Orfano. Il mio lutto era reso manifesto da due fasce di panno nero applicate sul paltò: una più stretta sul risvolto del collo, un'altra più larga sulla manica destra. Mia madre, vestita completamente di nero, in cerca di conforto, sentì la necessità di tornare per qualche tempo in seno alla sua famiglia e così ci trasferimmo ad Arsiero. Era l'estate del 1937. Nella casa dei nonni la giornata scorre lentamente, scandita da riti che si ripetono ogni giorno, sempre uguali. Ed io, un po' per volta, divento partecipe di essi, e talora, anche involontariamente, protagonista. Al mattino, alle otto, ecco la tromba, che con una sola rauca nota, annuncia che sta arrivando Piereto del late. Sulla strada bianca che viene da Velo d'Astico un musso sale lentamente con due grossi bidoni di latte appesi sui lati del basto. Piereto lo conduce per la cavezza e adegua il suo passo a quello pigro della sua bestia. Le soste avvengono in posti prestabiliti, uno è sull'ampia curva che la strada svolge davanti alla nostra casa. Al suono della tromba mia nonna comincia ad agitarsi. Corre a prendere el tacuin, , corre a prendere il pentolino, corre a prendere un piccolo secchio - un vecchio barattolo di conserva a cui mio nonno ha applicato un manico-, e me lo mette tra le mani insieme ad una paletta, e, «Corri» mi grida, «Corri!!! ». E io corro perchè sono in gara con la signora Busato. Lei abita di fianco a noi, ha tanti figli e un marito piccolo, pallido, timido, con gli occhi azzurri un pò sporgenti. Lei invece è molto alta, magrissima, i capelli lisci sono raccolti in un cocon. Il vestito, di lanetta color nocciola, le cade fino a metà gambe, e pendendo dalle spalle come da un attaccapanni, sembra rivestire un corpo senza forme. Gli occhi, dai riflessi gialli, hanno lampi di stizza. Le gambe secche e lunghissime, le permettono di fare passi che equivalgono a tre dei miei. E' con lei che io sono in gara. L'oggetto del contendere sono i petolòti che, quasi ogni mattina, il musso di Piereto depone quando si ferma davanti alle nostre case. Mia nonna li vuole a tutti i costi perchè li considera il fertilizzante migliore per i suoi gerani. La signora Busato soffre di un' uguale imperiosa necessità. Se li porta a casa chi arriva per primo. In mezzo alla strada bianca i petolòti risaltano in tutta la loro bellezza: perfetti, rotondi, brunastri, sodi, fumanti. Una meraviglia della natura. Quasi sempre riesco a raccoglierli io, e a deporli interi dentro al mio secchio, per tornare trionfante da mia nonna sfidando lo sguardo bilioso della mia avversaria. Ma la cosa più straordinaria è che la deposizione di questo dono prezioso avviene quasi ogni mattina, alla stessa ora, nello stesso luogo. Quando, divenuto grande, studierò sui libri di medicina, verrò a sapere che esistono i riflessi condizionati, che uno stimolo iniziale può determinare una risposta condizionata che si ripeterà nel tempo indipendentemente dalla volontà dell'individuo. Ma per ora riesco solo ad annotare il fatto, come cosa naturale, senza stupirmi, ad accettarlo come un rito al quale devo adeguarmi, e dare con orgoglio il mio contributo. In pensione da qualche anno, il nonno ha tanto tempo da dedicarmi e mi porta sempre con sé. Al pomeriggio si va alla Società di Mutuo Soccorso per trovare gli amici e fare qualche partita "a bale". Il nonno è un fantastico bocciatore, chi lo ha nella sua squadra è sicuro di vincere. Lui la boccia non la fa correre sul campo, ma la tira alta, e immancabilmente, alla fine della traiettoria, la si vede precipitare sulla boccia che l'avversario ha messo a punto. Io sono orgoglioso di essere suo nipote. Fra le persone che frequentano la Società, mi è simpatico in modo particolare Bepi Africa perchè mi prende sulle ginocchia e mi fa sobbalzare come per il trotto di un cavallo, cantandomi “Tutù-tutù musseta”. E' buono. Un po’ ingenuo, un po’ furbo. Fanfarone, vanesio. Qualcuno lo deride, qualcuno lo compatisce, ma per lo più alla gente del paese piace. Bepi Africa. Il soprannome gli è stato appiccicato perchè, come volontario, ha partecipato alla battaglia di Macallè durante la guerra di Abissinia nel 1895. Ai reduci di quella guerra il Re ha concesso "l'onore" di poter montare di guardia al Quirinale per un giorno all'anno. E Bepi, ogni anno, parte da Arsiero per andare a Roma a "fare la guardia al Re". Al suo ritorno, gli amici della Società lo attendono per farsi raccontare le nuove avventure, per ridere delle sue balle. come quella volta che raccontò: «A so rivà soto al Quirinale e ghe gera el Re che me spetava a la finestra. Quando ch'el me gà visto, el me ga fato ciao co la man, e po' el se ga voltà indrio e el gà sigà: "ciò Regina... meti sù el cafè che xe qua Bepi!».

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