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I consigli dell'esperto

Nando Fiorentini, il "pescatore" di Eataly: «Provate i pesci poco conosciuti, sono buonissimi e costano meno»

Proviene da una famiglia di pescatori ed è responsabile del settore ittico della catena di negozi
Nando Fiorentini, responsabile pescheria di Eataly
Nando Fiorentini, responsabile pescheria di Eataly
Nando Fiorentini, responsabile pescheria di Eataly
Nando Fiorentini, responsabile pescheria di Eataly

Per Ferdinando «Nando» Fiorentini il mare è una questione di famiglia, quasi di Dna. Suo nonno era pescatore, suo padre era pescatore. Lui stesso, nato a Porto Ercole, un paesino di neanche 3mila anime in provincia di Grosseto, «dove tutti lavorano nel settore ittico, gli uomini in barca e le donne in fabbrica», è stato a lungo pescatore dell’Argentario: fin da quando, ragazzino, «mi insegnavano a sciacquare bene il pesce appena pescato e a riporlo con cura nelle cassette». Bei ricordi: «A Ferragosto tutto il paese dormiva sulla spiaggia e, la mattina dopo, si preparava il Caldaro di Porto Ercole, la famosa zuppa di pesce locale.

Il mare», dice, «mi ha regalato fin dall’infanzia un senso di libertà e di avventura che non ho ritrovato da nessuna altra parte». È stato l’incontro con sua moglie, Giorgia Sasso, il passo decisivo per lasciare (un po’ a malincuore) la barca e a dedicarsi, insieme a lei, al commercio. Oggi Fiorentini, con la sua esperienza marittima enorme, è responsabile delle pescherie di Eataly, per cui ha anche stilato un «Manifesto» a difesa della qualità del prodotto e della eco-sostenibilità della pesca. Per esempio: «Non compriamo pesce sotto taglia, che non si è ancora riprodotto; rispettiamo la stagionalità; prediligiamo le specie autoctone; non ci approvvigioniamo su piattaforme comuni, ma ogni negozio fa la spesa per sé nel mercato ittico più vicino».

A lui, dunque, inventore dell’«asta del pesce» a Eataly (a Verona si tiene ogni primo venerdì del mese), abbiamo chiesto cosa scegliere, se si ha a cuore la propria salute, ma anche la salute della natura.

 

Fiorentini, spesso sentiamo parlare dell’importanza di mangiare pesce regolarmente per una dieta sana. Ma poi, davanti al banco, ci troviamo disorientati.
Purtroppo, per mancanza di tempo e conoscenza, la maggior parte delle persone si orienta verso i soliti quattro-cinque tipi di pesce: branzino, orata, salmone, merluzzo… Eppure esistono molte specie altrettanto gustose ma, per il fatto di essere meno “blasonate”, più economiche e anche molto più sostenibili, perché non intaccate da una pesca intensiva. Noi, a Eataly, le abbiamo introdotte: da una parte per far scoprire qualcosa di nuovo ai consumatori e dall’altra per dare una mano ai pescatori e all’ambiente. E il riscontro è stato positivo, perché poi questi pesci finora “introvabili” hanno iniziato a essere richiesti e a diffondersi nei mercati rionali e nelle pescherie.

Qualche esempio?
Il bello è che si tratta perlopiù pesci “a miglio zero”. Nei nostri mari, infatti, possiamo trovare la ricciola, il pesce lama, il barracuda del Mediterraneo, il pesce castagna… Una volta, tutto questo veniva considerato “pesce povero”, poverissimo; ma oggi c’è una grande riscoperta. Voi, veronesi, avete i pesci del lago di Garda, fra cui trote, salmerini, e il prelibato luccio, molto saporito. Bisogna avere il coraggio e la curiosità di sperimentare ricette nuove, facendosi consigliare dal proprio pescivendolo di fiducia.

Sventagliata di domande da “principianti”. Meglio il pesce d’allevamento o selvaggio?
Ci sono pro e contro da ambo le parti. Io prediligo il selvaggio, a patto che - come dicevamo prima - non rientri fra i pesci inflazionati. L’allevato può costituire un aiuto per l’ambiente, proteggendo le popolazioni selvatiche da una pesca troppo intensiva; però raramente il pesce in cattività può rispettare i cicli di crescita che avrebbe in natura. Il salmone, per esempio: le carni di quello selvaggio non arrivano ad accumulare più del 5 per cento di grasso; quello allevato ne ha oltre il 30 per cento.

E ancora: intero o filetto?
Intero: sceglierlo con l’occhio chiaro e convesso, la pelle lucida, le squame ben aderenti, profumato di mare. Capisco che il filetto sia comodo per chi ha fretta. Purtroppo, più il pesce viene lavorato, più cresce il rischio di ritrovarci dentro conservanti, sbiancanti, additivi… Senza parlare dello spreco. Per ottenere un paio di filetti, viene buttato tutto il resto. E io, da uomo di mare, soffro nel vedere questo sperpero di prodotto e di denaro. Un tempo, con testa e lische si cucinavano ottimi brodi e fumetti. Io ci faccio “l’acqua di mare” in cui cuocere la pasta. Sono ottimi lo stomaco fritto, le trippe, le uova. Dobbiamo assolutamente reimparare dai nostri antenati a ottimizzare il cibo. Non possiamo più permetterci di sprecare. E invece…

Invece?
Mi permetto questa digressione: sto assistendo con rammarico al trattamento folle riservato al granchio blu. Da noi è visto come un pericoloso intruso che minaccia soprattutto l’acquacoltura; viene catturato in grande quantità e distrutto, mandandolo al macero. Uno spreco enorme. In America la sua polpa è considerata una prelibatezza. Si facciano accordi per commercializzarlo.

Torniamo alle dritte: e se al supermercato troviamo solo pesce congelato?
Il congelamento è un processo essenziale per consentire la commercializzazione del pesce, ma deve essere fatto direttamente a bordo. Poi è fondamentale la provenienza del prodotto: l’Unione europea impone, in merito, protocolli igienici severi e scrupolosi. Protocolli che in altri Paesi non esistono. Ricordo, qualche anno fa, il gigantesco ritiro dal mercato di vongole provenienti dal Vietnam, a causa della contaminazione da salmonella nell’acqua della glassatura, cioè lo strato di ghiaccio protettivo applicato al pescato.

Il consiglio più importante di tutti?
Come già accennato, prendere l’abitudine di leggere l’etichetta per verificare provenienza e metodo di conservazione. Essere, insomma, consumatori informati e consapevoli. Ci sono eventi di livello globale di cui bisogna tenere conto; per dirne una, da qualche giorno è iniziato lo sversamento nel Pacifico dell’acqua contaminata di Fukushima.

Lei tocca un tema strettamente correlato al settore ittico: la salute dei mari. La pesca intensiva, come quella a strascico, è molto impattante.
La pesca intensiva, senza dubbio; ma pure qualunque attività che comporti una massiccia presenza umana sulle rive e in mare. Pensiamo al turismo balneare, pensiamo all’acqua bassa – luogo di riproduzione a inizio estate per triglie, orate e pesce bianco in genere – in cui fanno il bagno migliaia di persone spalmate di crema solare, un olio che galleggia in superficie e crea un film inquinante. Bisognerebbe avere almeno l’accortezza di mettere la crema dopo il bagno, non prima…

Come “sta” il nostro Mar Mediterraneo?
È vero che diversi stock di pesce selvaggio nostrano soffrono per l’eccessivo sfruttamento attuato finora. Ma è anche vero che ci sono sempre meno pescherecci: da un lato, l’Ue ne incentiva fortemente la rottamazione; dall’altro, i giovani non trovano più attrattivo un mestiere molto duro, com’è senza dubbio quello del pescatore. Per me resta il lavoro più bello del mondo, a contatto con gli elementi, immerso in un grande senso di libertà e di avventura; un lavoro che sa regalare grosse soddisfazioni. Ma, innegabilmente, stare sempre esposti alle intemperie, uscire e rientrare con il buio, rischiare con il mare mosso, passare intere giornate in barca in una solitudine quasi totale, è difficile e alla lunga logorante. Anche per questo motivo, il consumo che viene fatto del pesce deve essere il più possibile rispettoso.

È un obiettivo che Lei si propone.
Sì. Con Eataly, organizziamo molte iniziative, anche gratuite, per insegnare a conoscere e a cucinare il pesce in modo consapevole e senza sprechi. Le aste rientrano in questa ottica: proponendo anche specie non inflazionate con il sistema dei rilanci, che è anche divertente. Devo dire che Verona, pur non essendo una città “di mare”, mi ha stupito per la conoscenza dimostrata da molti clienti.

Lorenza Costantino