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LA POLENTA/2

La “polvere d’oro”
da Merlin Cocai
a Luigi Meneghello

“La polenta” di Pietro Longhi
“La polenta” di Pietro Longhi
“La polenta” di Pietro Longhi
“La polenta” di Pietro Longhi

«Questasera io e la Amalia sul fossetto del nonno per pasare abbiamo messo una tola e abiamo passato perché io in confronto della Amalia sono più picolo guarderò di mangiare di più polenta». Di chi sono queste parole? Domanda destinata ai solutori più che abili, tipo “Settimana Enigmistica”. Le frasi acerbe celano il talento di Luigi Meneghello: le vergò nel suo diario di bambino di sei anni, e sono state ripubblicate per il cinquantesimo di “Libera nos a Malo”. Meneghello scrisse ancora di polenta, soprattutto di quanto fosse gradita e preziosa nel periodo partigiano. La sua voce si unisce a quella dei tanti scrittori che citarono il diffusissimo alimento, il quale compare anche nell’arte come dimostra, tra gli altri, il quadro di Pietro Longhi (1702-1783), pubblicato qui a fianco.

Una rassegna, necessariamente parziale, può includere Teofilo Folengo, alias Merlin Cocai, che parla della polenta all’inizio del “Baldus” (1517), dove il poeta invoca le Muse più adatte a sostenerlo nell’impresa di cantare la storia di Baldus, appunto: «Ma solo le Muse mangione, le dotte sorelle, Gosa, Comina, Striazza, Mafelina, Togna, Pedrala, vengano qui a imboccare il loro caro poeta di gnocchi, e mi diano cinque o anche otto tegami di polenta fumante» (traduzione di Giuseppe Tonna). Non era quella di mais, ma di cereali generici, e comunque alimento centrale nel menu del tempo.

Più raffinato Carlo Goldoni, di cui parla Antonio Di Lorenzo in “Il mais di Marano nel piatto” (Terra Ferma): una scena di “La donna di garbo” è dedicata, non senza sottintesi erotici, alla lunga descrizione da parte di Rosaura della preparazione della polenta consà, fatta con la farina gialla («polvere bellissima come l’oro») e condita con butirro (burro) e formaggio.

Con Goldoni siamo nel 1743. Qualche anno dopo, nel 1791, il poeta veneziano Lodovico Pastò diede alle stampe un ditirambo, componimento in versi di argomento conviviale. Il titolo dice tutto, “La Polenta”: ne ha parlato su queste pagine Ferdinando Offelli in occasione di una ripubblicazione da parte dell’azienda Maculan di Breganze. La polenta, nei versi divertiti e divertenti di Pastò, non è solo la portata principe e insostituibile di ogni cena, ma un rimedio a praticamente tutti i mali. L’autore ne è estimatore totale: «La me piase dura e tenera, / In fersora e su la grela, / In pastizzo, in la paela, / Coi sponzioli, coi fongheti, / Col porcel, coi oseleti, / Cole tenche, coi bisati, / Cole anguele per i gati, / Cole schile, coi marsioni, / Coi so bravi cospetoni; / E po insoma in tuti i modi / La polenta xe’ l mio godi».

Chiudiamo il cerchio tornando a Meneghello. Nella rubrica “Nuove carte” per l’inserto domenicale de “Il Sole 24 Ore” parlò anche, non senza un pizzico di orgoglio per le proprie origini paesane, dei festival a cui era spesso invitato, «Dove così spesso se dici polenta, lui o lei sorridendo amabilmente capisce e trascrive pan e tu devi rassegnarti a essere responsabile di aver detto pan... No, per la Madonna, io non c’entro col pan! Sono solo quello della polenta».