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LE VERZE IN COMPOSTA

Gli antichi Cimbri
conoscevano bene
l’arte del riutilizzo

Le verze in composta
Le verze in composta
Le verze in composta
Le verze in composta

Era, in origine, un incontro di scarti. Da una parte le verze, Brassica oleracea varietà sabauda, ma quelle meno pregiate, non destinate al mercato perché danneggiate o deformi. Dall’altra la graspìa, detta anche vin picolo, ottenuta fermentando con acqua, prima della distillatura, le vinacce (le graspe) da cui già si era estratto il succo d’uva destinato a diventare vino. A fare da catalizzatore, l’esigenza di trovare sistemi di conservazione degli alimenti, la verdura in questo caso, così da poterla consumare anche molto tempo dopo il raccolto. Il risultato sono le verze in composta, piatto particolarmente apprezzato a Montorso Vicentino che ne ha fatto una propria denominazione comunale, degustata in particolare per la festa del patrono San Biagio, il 3 febbraio. “La preparazione delle composte – si spiega nel sito dedicato alle De.co. Vicentine – richiede innanzitutto che le verze abbiano già conosciuto i morsi del gelo, che ammorbidisce le foglie e concentra il sapore; i cespi, liberati delle parti più esterne, vengono tagliati in due o quattro parti a seconda della grandezza; poi, sbollentati in una mistura di tre parti d’acqua e una di graspìa”. “Ben scolate e raffreddate – continua – le verze vanno disposte in un mastello di legno a strati, aggiungendo di volta in volta una manciata di sale grosso, con eventuale aggiunta di spicchi d’aglio e chiodi di garofano, a beneficio dell’aroma ma anche di una migliore conservazione. Si conclude con uno strato di foglie grandi, di modo che la copertura risulti omogenea, versando graspìa in quantità tale da impregnare bene la verdura e coprirla in superficie. Su tutto, un coperchio di legno e una pietra di peso adeguato a mantenere la verdura sotto pressione e favorire l’emissione del liquido di vegetazione”. Il procedimento ricorda un altro contorno di origini nordiche, i crauti: in effetto, a rendere “cugini” le composte e i crauti c’è l’ingrediente principale, che per i crauti è il cavolo cappuccio, cioè sempre la Brassica oleracea, ma nella varietà capitata. In entrambi i casi la verdura è sottoposta alla fermentazione lattica, che dà origine a un acido, l’acido lattico appunto, che fa da conservante oltre a conferire il tipico sapore acidulo. E se dei crauti è ben nota l’origine germanica, forse la somiglianza con le composte ha fatto sì che anche quest’ultime siano state associate a un popolo germanico, i Cimbri, scesi intorno all’anno Mille dalla Germania meridionale, e insediatisi tanto nel Veronese quanto nel Vicentino, soprattutto nell’Altopiano di Asiago, ma anche nella valle del Chiampo. Cercavano terra da coltivare per vivere, ed è molto probabile che dalla consuetudine, dettata dalla necessità, di utilizzare tutto l’utilizzabile siano nate anche le composte. Di solito venivano ripassate in padella con aglio, cipolla e pancetta, prima di mangiarle; ultimamente la loro riscoperta anche grazie alla de.co. le vede proposte in abbinamenti raffinati, ma la tradizione le vuole servite come contorno al cotechino, o meglio, al musetto. Reggono benissimo il confronto con il “würstel e crauti”. Anzi. • © RIPRODUZIONE RISERVATA