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POLENTA E OSÈI

È sempre più raro il piatto
di Ognissanti
citato nella Tradotta

La mappa della Tradotta, 1918
La mappa della Tradotta, 1918
La mappa della Tradotta, 1918
La mappa della Tradotta, 1918

È di cent’anni fa la mappa gastronomica pubblicata dalla Tradotta, il settimanale della Terza Armata (ce ne siamo già occupati in questa rubrica), che con l’intento di sbeffeggiare l’austriaco invasore raffigura il Veneto come una distesa di succulenti prodotti tipici. Nel Vicentino è collocato, tra l’altro, un riconoscibilissimo piatto di polenta e osèi, denunciato come tale anche dal sonetto che accompagna il disegno. Un tempo molto diffuso, e molto apprezzato, la mutata sensibilità ambientale l’ha reso ormai raro. O meglio, è raro il rosto de osèi, perché la legge vieta la commercializzazione di tutti quei volatili selvatici che andavano a comporre lo spiedo. Di fatto, l’unico abilitato a gustare il rosto de osèi è il cacciatore che ha preso gli stessi volatili (ovviamente quelli consentiti dalla normativa) e se li prepara a casa propria, per poi servirli a parenti e amici. Così il piatto tipico di Ognissanti è diventato molto meno comune di una volta, con soddisfazione di chi pone la priorità nella difesa della fauna selvatica, e con delusione di quanti invece apprezzano il piatto, che richiede un’elaborata preparazione - una volta procurati gli uccelletti - a sua volta parte integrante del rito tradizionale. Ne scrive, con accenti poetici, Amedeo Sandri in “I doni della natura nel piatto” (Terra Ferma), pubblicazione dedicata a erbe, selvaggina e frutti spontanei nella tradizione vicentina. «Gli uccelli cacciati - racconta Sandri, rifacendosi alla memoria familiare - venivano lasciati frollare “sottopiuma” nella moscarola in cantina e poi pelati dalle donne, ma preparati per lo spiedo dagli uomini, che ne seguivano anche la roteante cottura seduti di fianco al camino e di fronte a una buona bottiglia. Questa passava definitivamente a miglior vita al momento della polenta onta, quando cioè di malavoglia e con le gambe pesanti ci si doveva alzare per friggere nel grasso raccolto nella leccarda le solari fette che uscivano una a una, come per incanto, dalla tovaglia odorosa di lissia e aria aperta. Quello che ne seguiva era un pranzo pantagruelico, il giorno dei morti, tutti assieme attorno a fuoco e allo spiedo: nessuno mai che fosse a dieta, uomini, donne, anziani e bambini, tutti che mangiavano a quattro palmenti, poi la tombola, una partita a carte, il filò delle donne e i giochi dei fanciulli». Lo spéo veniva composto alternando i volatili con fettine di lardo, o di carne varia, e foglie di salvia. Gli uccelletti erano unti con un rametto di rosmarino intinto nella leccarda, dentro la quale stavano le fette di polenta. E poi il vino rosso, le castagne arrosto, le patate dolci. I sapori dell’autunno. • © RIPRODUZIONE RISERVATA